La tassazione dei cosiddetti “extraprofitti” dei produttori e rivenditori di energia elettrica, gas e prodotti petroliferi è, per gli osservatori più avveduti, inaccettabile. Sul piano dei principii, anzitutto. Ma se si entra nel merito, e si analizza la bozza di disposizione sul piano tecnico, le cose non migliorano, anzi.
Come ha ben spiegato su Twitter il professor Dario Stevanato, ordinario di diritto tributario all’Università di Trieste, “le leggi sulle imposte straordinarie sugli extraprofitti, comunque le si giudichi, hanno un connotato confiscatorio: intervengono a posteriori quando il presupposto imponibile si è già realizzato, modificandone ora per allora il regime di tassazione”. E poi: “Secondo le peggiori tradizioni, c’è anche la non deducibilità del contributo straordinario dalle imposte sui redditi e dall’Irap. Altra sicura fonte di contenziosi e ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale”. E ancora: “La crescita del margine di contribuzione semestre su semestre non è di per sé indicativa di sovraprofitti, e nemmeno di profitti ordinari. Che succede se sono saliti i costi che non entrano nel calcolo dell’Iva? (ammortamenti, svalutazioni, perdite su crediti, spese di lavoro, etc.)”. E ulteriormente: “Il problema è di progettazione normativa: se si vuole istituire un prelievo sugli extraprofitti si ha l’onere di individuarli con criteri di ragionevolezza, che qui mancano del tutto”. E infine: “Il problema è di progettazione normativa: se si vuole istituire un prelievo sugli extraprofitti si ha l’onere di individuarli con criteri di ragionevolezza, che qui mancano del tutto”.
Chiediamo scusa al professore per aver estrapolato i suoi tweet sull’argomento, alcuni facenti parti di conversazioni con altri utenti del social network. Lo abbiamo fatto perché, nonostante la particolarità e i limiti dello strumento, le osservazioni riportate rendono bene l’idea dell’approssimazione – per essere generosi – di una normativa prodotta da un Governo il cui tratto distintivo viene individuato, da parte della “grande” stampa, nella competenza.
Una norma indifendibile, insomma, da ogni punto di vista. Tornando al piano dei principii, però, un’osservazione viene spontanea. La tassazione dei cosiddetti “extraprofitti” è acqua fresca rispetto alla tassazione dei “non profitti”, che i proprietari di immobili subiscono ogni anno con l’IMU. Eh sì perché, se nel caso dei produttori e rivenditori di energia la nuova tassazione – pur con tutti i suoi evidenti “difetti” (sempre ad essere generosi) – colpisce comunque un’entrata, l’IMU viene richiesta ogni anno sul presupposto del mero possesso di un bene, l’immobile, sia che esso produca un reddito (nel qual caso la tassazione patrimoniale si aggiunge a quella reddituale), sia che non lo produca.
È così che funzionano le patrimoniali. E quella sugli immobili è una patrimoniale che – per sua natura – determina progressiva espropriazione del bene inciso. E’ il caso di ricordarlo ai più distratti, specie in questa fase in cui il Governo – attraverso la revisione del catasto (contrastata dall’intero Centrodestra) – intende porre le basi per un ulteriore aumento dell’IMU (di cui la Commissione Ue chiede anche l’estensione alla “prima casa”) e delle altre imposte che si fondano sui dati catastali.
Giorgio Spaziani Testa, 21 marzo 2022