Cultura, tv e spettacoli

Caro Carlo Conti, dacci un Sanremo senza Ferragni né gender

Che il prossimo Festival sia senza i monologhi, comici d’area e intellettuali di sinistra

Siccome era già tutto previsto, viva la Rai che è di tutti ma di qualcuno di più e quindi fanno sempre come gli pare a loro. Quando finisce un Sanremo, come è finito il loro, Festival ritornerà, Carlo Conti a primavera e speriamo non da balera. Carlo l’abbronzato, come si diceva, come si sapeva, torna dopo 7 anni sulla diligenza a furor di dirigenza. Siccome sul regno di Carlo non tramonta mai la lampada solare, speriamo che, da direttore artistico illuminato, ci porti almeno due nuove edizioni non chissà che, mica trascendentali, non chiediamo l’impossibile: semplicemente umane.

Ecco, Carlo, fatti due Conti e ascoltaci, deh: un Festival meno Euro, per dire meno Gender, meno svizzeri in barba e babbucce e labbra a canotto, meno pride, che ormai a ste cose ci crede solo l’impresario Zan, e magari anche meno Pravo, nel senso degli eterni rieccoli, meno maranza di merda che cantare per carità ma fanno la propaganda per Hamas, meno Chiareferragni, meno Rulejeabral, meno cazzate in libertà, meno braccialetti arcobaleno e bodypositive e tutta quella spazzatura autoritaria travestita da inclusività. Coraggio: se stanno rottamando già l’autoelettrica, possiamo sperare pure all’Ariston in un ritorno al futuro remoto.

Va bene: tu Carletto devi, per forza, per ruolo, per contratto, per convenzione devi laudare le edizioni precedenti, le cinque di AmaCiuri, le altre di Baglioni, così risali su per li rami fino alle tue e puoi dire che tutto partì da là, che in principio era il Conti, tutto questo si capisce e ti si perdona. Però, smaltita la retorica diplomatica del saper stare al mondo, vogliamo ancora illuderci per un Festival no, non alternativo, non underground, ma che almeno ci sia la materia prima: cantanti; gente che due note in croce le sa mettere in gola, no quella diarrea stonata di tutti questi anni. Va bene, recluta quello che vuoi, ma fa’ qualcosa di meglio del (figlio di) Ama che decideva lui, e poi il padre mediava tra i poteri discografici, politici, pubblicitari.

Ecco: politica anche meno. Basta con i monologhi, coi comici d’area, con le madame lì a parlare di quanto sono de sinistra loro. Non nel senso che “adesso tocca a noi”, per dire a quegli altri: per la carità, tutto ma non le Lucarelli e i Saviani di destra. Semplicemente ricordati che questa sarebbe una rassegna di canzoni e di cantanti. Di motivetti, arrangiamenti e liriche se possibile non demenziali, o bestiali, o biascicate, o maranzate. Volendo, qualche alternativa c’è; non molte, ma si può pescare anche fuori dal mare stantio delle mummie rifatte, dei trapper per sordi, delle gnocchette culo&tette, delle figlie di, degli illustri sconosciuti che hanno alle spalle qualche funzionario o amante del Rotary o della politica lombarda, pugliese o marchigiana. E anche basta, su, dai, che abbiamo abbondantemente dato e scarsamente ricevuto.

Non siamo verginelle e non siamo Addormentate Belle, non siamo Cenerentola, sappiamo che se sei lì, se ti hanno rimandato lì, devi fornire certe garanzie, sappiamo che i conti debbono tornare, sappiamo Sanremo è un tritacarne per tutti, l’avremo scritto diecimila volte che di canoro ha poco e niente e di politico, di potere tutto, politica monetaria, pubblicitaria, elettorale, tutto quello che vuoi; però alla fine il direttore sei tu e, se se non sei un manichino, pensa anche un po’ a noi. Per dire noi nessuno, noi popolino, noi disgraziati che la sera ci mettiamo lì a vedere malgrado tutto, noi negli ospedali, nelle carceri, nei tuguri, o sotto al teatro le 18 ore a scambiare una Rose Villain con una Bertè.

Ci sono anche questi, e tu dirai, sì ma questi appunto non distinguono, sono carne da audience, ogni brodaglia che gli dai la mandano giù e gli ascolti sono lì a provarlo; d’accordo, ma il fatto è che Sanremo di Festival non ha più niente, è un vaso di Pandora che nessuno prova più a richiudere, un carrozzone sfuggito al controllo, una lavatrice impazzita dove si centrifuga solo fogna. Lo sai questo. Lo sai anche tu. E, volere volare, ‘sto festival ha bisogno di recuperare almeno la dignità di canzone, di musica, di canto, perché, anche se non sta bene dirlo, le cinque edizioni dell’AmaCiuri avranno anche spaccato per ascolti e quindi ricavi, ma sono state una più inascoltabile dell’altra: davvero ha scelto il peggio del peggio, senza sbagliare un colpo. Non è rimasta una sola canzone di centocinquanta in cinque anni.

Non è più Sanremo, più Festival, più niente. E allora basta coi Benigni, i giullari cialtroni con la Costituzione, i paragnosti, basta le mamme Giogiò, i Grandi Temi Sociali, il populismo solidale, le ong di lotta e di governo, basta coi Ferragnez di tutti gli affari, con i jingle pubblicitari al posto delle canzoni, con i motivetti fatti dagli algoritmi, con le eccessive pretese degli scalzacani dei partiti. Volete si parli di cose anche serie a Sanremo, di temi scabrosi, di vicende urticanti? Benissimo. Magari. Ma fate che siano le canzoni a farlo. Scovate autori e brani di contenuto, e, poeticamente, si potrà dire tutto ma proprio tutto. Cancellate il resto, asciugate le parole di carta, che servono solo ad arricchire chi le recita, regolarmente male, con intonazione da messaggio registrato, da intelligenza artificiale che è imbecillità naturale. Che non sia più il Festival degli incapaci, dei parassiti, dei raccomandati.

Sappiamo che è impossibile, ma tu Carlino provaci. Stupiscici. Facci capire che almeno ti sei impegnato, e ci basterà. Non è solo audience e non è solo lucro. Una volta ogni morte di (del) papa, deve contare anche qualcosa d’altro: quel qualcosa è la musica e tu, che la mastichi, lo sai che qui non ce n’è più da anni. Chiama chi vuoi, invita chi vuoi, ma che si torni a cantare a Sanremo, che la gente, la mattina dopo, questa gente brutta, derelitta, senza più orizzonti, possa almeno uscire di casa rincorrendo una melodia, qualcosa che rischiari un’altra giornata del cazzo. Non “un ragazzo incontra una ragazza, tititi, tititi”. Non solo quello. Non sempre quello. Quando si vuole bene, bene veramente, almeno ci si prova, se no non vale niente.

Fallo sua tua pelle, nelle labbra e nel pensiero, rendici un uomo felice, e anche una donna, si capisce, fai che a Sanremo si possa tornare ad amarsi come prima, oppure lasciaci al centro del silenzio. Sappiamo che è impossibile. Ma lasciaci sognare, lasciaci spedirti questa patetica letterina. Caro Conti ti scrivo, guardati indietro, e fa’ che quella di Sanremo torni ad essere una notte rosa. Almeno questo. Provarci cosa ti costa?

Max Del Papa, 22 maggio 2024

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