Sulle false promesse della sinistra Fratelli d’Italia ci ha costruito le proprie fortune elettorali. Nel tempo, il partito di Giorgia Meloni ha infatti saputo intercettare il malcontento popolare e occupare degli importanti spazi storicamente appannaggio della sinistra. A cominciare dal mondo della scuola, con una buona fetta del personale docente che, sempre più schiacciato tra la morsa del precariato e quella delle retribuzioni ancorate al palo, ha volutamente deciso di mollare una sinistra tutta chiacchiere e distintivo per abbracciare il lucido pragmatismo di Giorgia Meloni.
Un risultato che per FdI è valso doppio, trattandosi di un segmento elettorale letteralmente strappato alla diretta concorrenza. Addirittura triplo, se si pensa all’importante ruolo sociale interpretato dai professori nel processo di formazione delle menti e delle coscienze dei giovani. Un colpaccio davvero niente male.
Attenzione però: guai a inciampare sui medesimi errori commessi negli ultimi anni dai partiti di centrosinistra nelle loro molteplici esperienze di governo. A dare per definitivamente acquisito un determinato spazio elettorale prescindendo dal lavoro e dai risultati conseguiti. Perché l’elettorato, si sa, oggi è più che mai fluido e ostile all’attesa, ragion per cui, deludere le aspettative potrebbe rivelarsi fatale. Come lo è stato a suo tempo per la sinistra, rinnegata nei fatti (e nelle urne) da molti dei suoi stessi elettori.
L’esecutivo di centrodestra è pertanto chiamato ad agire. Con coraggio e credibilità. Perché a distanza di un anno e mezzo dal suo insediamento, la precarietà del corpo docente permane un grande nodo irrisolto. Anzi, in questo senso pare che il governo in carica sia persino intenzionato a fare un passo indietro rispetto al recente passato e negare l’immissione in ruolo anche ai docenti specializzandi che stanno portando a termine il cosiddetto tirocinio formativo attivo (Tfa). Una gran bella beffa per svariate migliaia di insegnanti, che la scorsa estate avevano intrapreso un percorso impegnativo e alquanto costoso con la consapevolezza di potersi finalmente lasciare alle spalle la piaga della precarietà una volta concluso. E invece no. Cambio in corsa e niente ruolo.
Di più: perché al lavoro precario si aggiungono anche delle retribuzioni poco soddisfacenti e un potere d’acquisto ridotto ai minimi termini. Il taglio del cuneo fiscale (confermato dall’ultima legge di bilancio per l’anno 2024) incide mensilmente per poche decine di euro sulle buste paga degli insegnanti, e dell’annunciata differenziazione degli stipendi su base territoriale tenendo conto del caro vita non pare ancora esservi traccia.
Morale: stipendi da fame, ingenti costi sostenuti per inutili percorsi formativi, elevatissimi livelli di precarietà e criteri di reclutamento in continua mutazione. Senza considerare la fragilità culturale degli studenti e la crescita esponenziale degli episodi di violenza ai danni dei docenti. Diciamolo pure: da questo governo ci si sarebbe aspettati ben altro.
Salvatore Di Bartolo, 6 marzo 2024
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