Caro Insinna, sulla caccia hai torto marcio

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È comprensibile la reazione di Federcaccia alle parole espresse dal popolare presentatore televisivo Flavio Insinna contro la caccia. Ovviamente, ognuno è libero di pensarla come crede, su questo e su altri argomenti profondamente divisivi, ma ovviamente un’opinione negativa su quella che è una delle attività più antiche svolte dall’essere umano, e che secondo alcuni antropologi segna l’inizio stesso della civiltà, ha un peso molto forte se è pronunciata da un conduttore popolarissimo e durante un seguitissimo programma televisivo quale è L’eredità di Rai 1.

A maggior ragione se la tesi di Insinna non contrasta ma asseconda quella ideologia del “politicamente corretto” che sta erodendo le basi stesse della nostra cultura. I cacciatori non potevano perciò non ribattere. Anche se mi sembra che la loro reazione, che minaccia addirittura azioni legali, si muova troppo sul piano giuridico o formale (la caccia è ammessa e normata dallo Stato), da una parte, e su quello commerciale del boicottaggio pubblicitario della trasmissione, dall’altra. Il discorso andrebbe invece posto su basi più radicali, avendo il coraggio sia di contraddire gli idòla fori del nostro tempo sia di opporre al pensiero facile di animalisti e presunti ambientalisti un pensiero forse più controintuitivo ma certo più profondo e ben argomentato.

In una sorta di finale agnizione, si scoprirebbe infatti che veri ambientalisti, e fautori di un sano rapporto con la natura e con le bestie, che pochi come loro conoscono e rispettano, sono proprio i cacciatori; mentre gli altri, seguendo una ragione astratta e “costruttivistica”, proponendosi di “correggere” la natura, non fanno che affermare proprio quella tracotanza prometeica che è dell’uomo moderno e che ha portato allo sfruttamento indiscriminato del nostro habitat naturale. Ovviamente, anche fra i cacciatori, ci sono, come fra tutti gli esseri umani, individui sadici e malintenzionati che uccidono le bestie per il gusto di ucciderle. Ma non è di costoro che qui si parla.

È vero allora, come ha detto Insinna, che “la caccia non è uno sport”, ma bisognerebbe avere la forza di dire che è molto di più, e tutto in positivo. È un ricongiungersi dell’uomo con la sua base naturale; un inno al creato che è fatto di vita e di morte e ha un suo ordine gerarchico ove ogni elemento è indispensabile e va, dall’unico essere autocosciente, compreso e rispettato; un’esperienza unica di virtù dimenticate come la pazienza, il rispetto dei ritmi e delle leggi della natura e della vita, l’umiltà.

Il filosofo inglese Roger Scruton, scomparso giusto un anno fa, e che della difesa della tradizionale caccia alla volpe inglese aveva fatto una delle sue epiche battaglie, osservava, con amara ironia, che il mondo contemporaneo che aveva prodotto i vegetariani fanatici, quelli che assaltano ad esempio le macellerie e vorrebbero abolire la carne per decreto legge, è lo stesso che permette che gli animali siano allevati in batteria e gonfiati di steroidi. Certamente, il vecchio mondo antico non torna. Ed era pieno anche esso di contraddizioni. Ma se si astrae dalla sapienza risposta in abitudini maturate nel corso dei secoli, e per di più all’ombra di una “religione dell’amore” quale è quella cristiana, si rischia di precipitare in un abisso e non esserne nemmeno consapevoli.

Corrado Ocone, 31 dicembre 2020

 

 

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