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Caro Porro, a 19 anni sono recluso e demonizzato

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Caro Porro,

ti scrivo questa breve lettera dal titolo La Rabbia e l’Orgoglio, riciclato dalla grande Oriana Fallaci  che diede proprio questo titolo al suo primo libro post 11 settembre e che ripropongo per questa lettera aperta. Lotta al terrorismo islamico allora, lotta a quello mediatico oggi. Sì avete capito bene, al terrorismo mediatico e non al virus.

Parliamoci chiaramente senza perbenismi per radical chic con i maglioni infeltriti, i milioni in banca e la mascherina di scorta in tasca. C’è ancora qualcuno che crede alla narrazione moralistica del virus? Alla narrazione per cui se torni a casa alle 22.30 sei un negazionista? Quella per cui se sei un imprenditore, sei conseguentemente uno schifoso evasore e che in buona sostanza è giusto se adesso fai la fame perché “beh ma negli anni novanta hai fatto un sacco di soldi”? Mi pongo queste domande amici e ne conosco già la risposta. La risposta è sì, c’è chi ancora ci casca. C’è ancora chi è disposto a barattare la libertà di movimento, la libertà di respirare senza maschera all’aria aperta, la libertà di fare sport, la libertà di andare a scuola, la libertà di uscire con gli amici, la libertà di andare nella propria seconda casa (robaccia da ricchi), con la promessa di un futuro salvifico libero dal virus cinese. Sì, cinese, avete capito bene, non vi scaldate.

Bisogna ricordarlo da dove viene. Suggerirei di farlo molto più spesso, così da evitare che ce ne si dimentichi, dato che il presidente Conte in parlamento parla di collaborazione con gli Usa, ponendola sullo stesso piano con quella che sappiamo bene esserci tra il nostro ministro degli Esteri, il comico che lui riconosce come capo politico e il Regime Popolare Cinese. Repubblica, pardon.

Tornando ai due termini che hanno ispirato questo scritto: La Rabbia, quella di un ragazzo di diciannove anni che vive chiuso in casa da quasi un anno con meno diritto ad uscire del suo barboncino, pur essendo pressoché immune a questo virus, quella di un ragazzo che studia ingegneria guardando un computer e che sta perdendo la vista, quella di un ragazzo che la storia del Grande Fratello l’ha letta sui libri ed è costretto a vederla riproposta tutti i giorni a Palazzo Chigi.

L’Orgoglio, quello di chi non accetta dopo un anno chiuso in casa, che lo si additi come responsabile del contagio, quello di chi non accetta che il futuro della scuola, dell’Università sia dietro ad uno schermo. “Ma adesso tutto era risolto, tutto, la lotta era finita. Aveva vinto su sé stesso. Amava il Grande Fratello”. No, non è la chiusa della biografia di Rocco Casalino se ve lo state chiedendo. È l’ultima frase con cui George Orwell (della cui morte il 21 gennaio è stato l’anniversario) chiude il suo romanzo politico 1984.

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