La posta dei lettori

Caro Porro, con la scusa del Covid rubano l’infanzia a mio figlio

La posta dei lettori

Caro Nicola,

sono un giovane papà separato e la serenità di mio figlio Laerte, 7 anni, è la cosa che più mi sta a cuore al mondo. “Giovane” tra virgolette, ma insomma ancora abbastanza combattivo da agitarmi quando qualcuno cerca di calarmi le cose dall’alto. Ed è oramai da tre primavere che in Italia funziona così: tra decisioni imposte, restrizioni forzate, libertà violate. Poco importa per me, che il mondo l’ho girato in lungo e in largo, per il mio lavoro di giornalista, anche nel frattempo.Ma per mio figlio no, importa eccome. E adesso basta.

L’ultima? La scuola, chiusa come una roccaforte asserragliata in cima a un monte. Dopo tutti i giorni (mesi) che già si sono persi, ora è il turno dell’umanità. Al di là del rendimento, dell’italiano e della matematica che si possono studiare in una seconda elementare, cosa c’è di più complesso, infatti, che tracciare il profilo caratteriale ed emozionale di un bambino di 7 anni? Figlio di separati appunto, cresciuto tra New York e Roma, tra l’inglese e l’italiano, tra amici vecchi e nuovi.

Io mi occupo di Casa Bianca e di politica estera, ma un’analisi tanto delicata manco mi azzardo a pensarla. Figuriamoci, invece, a ridurla a pochi istanti di colloquio a distanza. Via streaming. Di noi adulti che siamo diventati delle caselle di Zoom e dei nostri bambini che sono spariti dietro a mille mascherine, nella solitudine e nel vuoto di qualche cameretta, di un’infanzia che non si capisce bene chi potrà mai restituirgli.

Ecco: di tutto questo, di tutte queste sfumature, mica ne posso parlare vis-à-vis con i maestri. «Non è possibile farlo per nessuno in questo momento», a mia richiesta specifica, mi rispondono persino nero su bianco. Valgono i diktat di Speranza, il mantra stantìo del “siamo nel mezzo di una pandemia mondiale!”, l’assoggettamento di una società intera alle regole ferree del distanziamento.

E non c’è Ffp2 che tenga. Io, come chissà quanti altri genitori di questo Paese alla deriva, delle fragilità di mio figlio sono costretto a discuterne tra connessioni che cadono, microfoni che non si sentono, insegnanti che non appaiono nemmeno e la mia ex che nella stanza virtuale, per una qualche svista, neanche viene ammessa.

Ciliegina amarissima sulla torta: la chat con il resto della ciurma. In cui, io che ho nostalgia del vecchio mondo, vengo additato pure come un vecchio pazzo, colpevole a prescindere perché, nonostante vaccino e green pass addosso, sogno addirittura di conversare faccia a faccia. Noi napoletani siamo così: crediamo ancora nelle chiacchiere e nei caffè, negli occhi negli occhi e nell’umanità, specie se si tratta dei nostri figli, “pezzi di cuore”, come vuole il nostro proverbio.

Con un’ultima coda a margine. E qui confesso e corro subito a costituirmi: sono doppiamente reo perché un mese fa, a Laerte, gli ho organizzato (apriti cielo!) anche una festicciola di compleanno. Di lì qualche contagio, come mi sembra sia accaduto ovunque nel globo, specie con la velocissima Omicron. Ma niente, il recinto della frustrazione oramai è aperto e la mandria oramai è impazzita: la polizia scientifica di WhatsApp aveva già risolto il caso, io sono stato l’organizzatore/untore, il museo dei palloncini si è trasformato in un attimo nella nuova Wuhan del virus.

Come si fa? Come si fa a resistere? A ritornare, a rimettere la vita al centro. Se non la nostra, almeno la loro, quella dei nostri figli. Figli che, puntualmente, sono migliori di noi. E fuori scuola, una scuola che non si lascia incontrare, che non si apre e che viceversa si chiude, figli che si abbracciano tra di loro, che abbracciano proprio i loro maestri, che abbracciano forte anche noi. Rigorosamente con la mascherina su, comunque campioni di felicità e di pazienza.

Felicità e pazienza su cui, però, non possiamo fare leva ancora e oltre. Perché rischiamo di romperle, di “romperli”. Altrove la vita è ripartita, e addirittura non si è fermata mai. Sarebbe ora che qualcuno lo spiegasse alle mamme dei bambini chiusi in casa, ai maestri e ai presidi nascosti dietro a una web-cam.

di Luca Marfè