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Caro Porro, così col green pass ci vietano pure i libri

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Caro Nicola,
presa da profondo sconforto per la situazione kafkiana che stiamo vivendo, ho scritto una e-mail alla biblioteca del mio paese. Te ne riporto il testo. Grazie per il giornalismo che rappresenti, sempre e comunque, a 360 gradi: ti fa onore.
Un cordiale saluto
Silvia Cagnin

Queste righe le devo a me. Le scrivo a Voi, ma le devo principalmente a me. E le devo a me stessa da quando è maturata in me la profonda delusione ed amarezza nell’aver ricevuto la comunicazione che dal 6 agosto u.s. anche la Biblioteca, la “mia” Biblioteca, potrà essere accessibile ai soli possessori di green pass.

Innanzitutto, rinnovo la mia stima per il personale tutto della Biblioteca del mio paese: da sempre apprezzo la gentilezza, la competenza e la professionalità di tutti coloro che vi lavorano con estrema passione e dedizione. Personale che probabilmente si trova ora fra l’incudine e il martello, come la maggior parte dei lavoratori italiani. Inutile nascondere, però, il rammarico e l’avvilente frustrazione nell’aver appreso che una misura politica, non certo sanitaria – questo ormai è comprovato da più fonti “ufficiali”, nonché manifesto da sempre a chiunque voglia vedere – arrivi a discriminare l’accesso ad un luogo che dovrebbe essere per se stesso inclusivo. La Biblioteca.

Un luogo di sapere, che è nato e cresciuto nel paese dove vivo grazie all’apporto di tutti, anche al mio. Un luogo che è diventato quello che è grazie ai nostri figli, che hanno imparato ad apprezzarne le letture, le attività, i giochi all’insegna dell’inclusività, del “fare insieme”, l’uno per l’altro. Per quanto sia scritto a caratteri cubitali “Biblioteca aperta” e per quanto nel sito del Comune si legga ancora che la Biblioteca è “centro di diffusione e produzione della cultura e dell’informazione”, “luogo di aggregazione sociale accessibile a tutti”, prendo atto che d’ora innanzi non lo sarà più. Non lo sarà più, per tutti. Nel sito leggo che l’accesso ai locali è interdetto sin dal piano terra. Poco conta se è possibile avere comunque i testi richiesti. Fermi sull’uscio. D’ora innanzi verrà scelto, perché di scelta si tratta, chi far accedere e chi fermare sulla porta.

A.I.B. si è limitato ad alcune raccomandazioni, lasciando margine alle singole biblioteche e, dunque, ai singoli Comuni. Prendo atto che nel nostro Comune è stata applicata la versione più rigorosa, al pari di quella che imponeva le mascherine anche ai minori di anni sei, disposizione cui neppure i nostri lungimiranti Esecutivo e – per quel che ancora conta – Legislativo erano finora giunti. A.I.B. conclude le sue “raccomandazioni” con una chiosa quasi imbarazzante, dopo aver fatto uno sconcertante – in quanto non comprensibile, se il contagio effettivamente si vuol prevenire – distinguo di requisiti fra utenti, fornitori e staff: “Attualmente come sappiamo l’obbligo di ricevere il vaccino anti Covid 19 è espressamente previsto per legge solo per il personale sanitario, mentre non è previsto alcun obbligo per tutte le altre categorie di lavoratori”.

Nell’epoca del politicamente corretto, si specifica che non vi è l’obbligo (giammai…!), se non per alcune categorie: ciò non di meno mi viene richiesto il green pass per accedere. Una impasse difficilmente risolvibile. Situazione ai limiti del kafkiano. Un rompicapo che non trova soluzione se non avendo l’onestà e il coraggio di ammetterne l’assurdità: chi non lo fa o è cieco o ha scientemente deciso di voltarsi dall’altra parte. Scelte. Anche queste sono scelte. Perché non di imposizioni si tratta, ma di scelte. Come quella coraggiosa di chi – leggesi Fabrizio Masucci, Presidente e Direttore da ben 11 anni della Cappella Sansevero a Napoli – con un accorato appello, ha preferito dimettersi piuttosto che contingerare l’accesso ad un luogo di cultura e sottomettersi ad una disposizione che non è sanitaria.

Come la lotta di dignità e di libertà (Chapeau!!!) portata avanti dal professore Andrea Camperio Ciani, ordinario dell’Università degli Studi di Padova per le cattedre di Etologia, Psicobiologia e Psicologia evoluzionistica, il quale, pur in possesso di green pass, ha deciso di rinunciare alla cattedra per non venir meno ai suoi principi, definendo lo stesso green pass molto simile alla tessera che vigeva al tempo del fascismo. Come la scelta manifestata da quei Dirigenti che hanno anticipato che non discrimineranno il personale scolastico sulla base di una certificazione che non tutela la salute di alcuno, né tanto meno rende funzionale una istituzione scolastica per sua natura già gravemente compromessa. E’ tutto qui il problema. Non serve a limitare contagi. Già. Ma “prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione che non è sicura né conveniente né popolare, ma bisogna prenderla perché è giusta”, diceva Martin Luther King.

In questo mondo di Orwelliana triste memoria, ognuno dovrà fare d’ora innanzi le proprie scelte, senza nascondersi dietro ad un ordine, ad una raccomandazione, ad un dpcm, ad una Faq: non cito neppure la Costituzione, declassata nella gerarchia delle fonti al di sotto di usi e prassi. Perché l’ingiustizia commessa in un solo luogo è una minaccia della giustizia in ogni luogo. A dirlo è stato sempre lui, Martin Luther King: non certo io. Ed ha anche aggiunto: “Può darsi che non siate responsabili della situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non farete nulla per cambiarla”. Manca il coraggio. Il coraggio di pensare con la propria testa e vedere l’irrazionale ingiustizia laddove si annida la discriminazione folle e sconsiderata. “Un giorno la paura bussò alla porta – scrisse Goethe – il coraggio si alzò ed andò ad aprire e non c’era nessuno”.

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