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Caro Porro, da extracomunitario dico: i migranti vogliono diritti ma non doveri

Buonasera,

sono Giuseppe Carera, nato in Brasile da genitori italiani che sono emigrati nel 1953. Si sono conosciuti, si sono sposati e poi sono nato io nel 1963 e, ai miei sei mesi, siamo tornati in Italia. Mio padre per emigrare in Brasile da Brescia dovette venire a Milano a fare un test di lavoro (era litografo). Una volta dimostrato davanti ad una commissione all’istituto tecnico Feltrinelli cosa sapeva fare ottenne il visto per andare in Brasile.

Una volta arrivato con la linea navale Costa fece 40 giorni di quarantena davanti al porto di Santos. Non andò per proprio diritto, come sento quando si parla di migrazione ma per preciso, e dico preciso, bisogno del Brasile. Io ho due passaporti, uno per Ius Soli e l’altro per genitori. I miei genitori non hanno mai chiesto la cittadinanza ma parlavano portoghese perfettamente, dopo anni di permanenza. Integrati al paese ospitante.

Io pur sentendomi a volte chiedere da qualche pubblico ufficiale se ho il permesso di soggiorno (e quando capita sono contento della verifica) sono un “extracomunitario” italiano ma non sopporto sentire dire agli emigrati clandestini che è loro diritto venire in Europa. È loro diritto questo, quello, quell’altro. Il dovere non l’ha nessuno? Non si ricorda mai, quando dicono che anche noi andavamo all’estero, quale era la trafila? Che i diritti sono subordinati a doveri?

A proposito, se non voto (qui a Milano) alle elezioni Brasiliane, perché in Brasile il voto è un dovere non un diritto, non mi rinnoverebbero il passaporto. Sarebbe interessante fare un servizio sulla nostra emigrazione, ben diversa da quella “abusiva” attuale.
Grazie

Giuseppe Carera

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