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Caro Porro, ecco perché noi giovani siamo in lutto

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Buon pomeriggio Sig. Porro,

volevo esprimerle tutta la mia stima per il suo lavoro, per la sua persona ma anche e soprattutto per l’impegno che mette nell’ascoltare chi di solito non può e non riesce a parlare a voce alta di fronte ad un gran seguito di persone. Sono una ragazza di 24 anni, studentessa universitaria (se così mi posso ancora definire, non lo sembro più ormai) e confermo i sentimenti di abbandono e insicurezza per il futuro che le nostre generazioni stanno provando. A tal proposito volevo condividere con lei, se mai avrà voglia e tempo di leggere, un mio pensiero.

Ho tante cose per le quali essere grata durante una pandemia. Ma ne ho altrettante per permettermi di soffrire, e non mi scuserò ne vergognerò per questo. Non vivo in un appartamento, ho una casa e anche un giardino e pure un cane che mi assicura quella dolce attenzione giornaliera. Ho un lavoro, e l’università a distanza, un po’ scadente che forse mi farà entrare in quel mondo che tanto speravo arrivasse dopo gli studi zoppicando o forse non ci entrerò proprio. Laureati dentro la propria camera da letto, chi mai ci vorrebbe?

Ho pure degli amici, che stanno bene, e pure io sto bene. E non ho morti. Ma non è solo il lutto di una persona che dà il diritto di soffrire, direbbe mia sorella. Ed ha ragione. Dio se ha ragione. Non è di certo solo per il lutto di una persona che allora il nostro dolore può e deve ricevere l’approvazione e l’accettazione dal resto del mondo. Ci sono tanti lutti che sono lutti anche se non prevedono persone morte. La mancanza della possibilità di fermarsi e prendersi una pausa. Di ritorno da lavoro, in mezzo ad una giornata di studio, alla fine di una settimana. E quindi ogni giorno è uguale all’altro.

Nulla di nuovo, le persone non hanno nemmeno più niente da dire, a parte ovviamente le loro insensate opinioni su questo discusso virus. Tuttologi che parlano di niente. Ti chiedessero almeno come stai, non so, ritagliassero un momento di normalità almeno nelle conversazioni casuali. Quasi mi mancano i vecchi che litigano per il parcheggio, ora inveiscono solo per le mascherine portate male. Mi manca la montagna. Mi manca diventare un po’ più povera in un ristorante e far diventare un po’ più ricco il gestore. Mi manca tutto quello che è fuori dal mio comune, da dove vivo. Perché belli i campi eh, ma ad una certa i 24 anni chiedono di più di sole distese di terra. Mi manca pure avere le zone bianche, verdi, marroni… l’inverno la primavera l’autunno quelle stagioni che non si sono viste, né vissute.

Sarebbe bello anche poter programmare, senza dover aspettare il servizio delle 20. Ma non solo il weekend, anche magari la vita futura, poter inviare qualche curriculum e decidere di cambiare lavoro o di cercarlo per la prima volta. Sarebbe anche bello inseguire con lo stesso coraggio di una volta i sogni e le ambizioni che si avevano prima di questa pandemia. Sono lutti anche questi, e non lutti minori. Stanno cambiando irreparabilmente delle vite, forse non di tutti ma di certo non tutti se ne sono ancora accorti. Ed è un lutto anche questo.

Alice, 18 febbraio 2021