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Caro Porro, la sofferenza dei disabili ai tempi del Covid

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Buonasera Nicola,

da qualche settimana seguo con interesse la Sua zuppa su Facebook e mi piacerebbe sentirLa parlare di un argomento a me particolarmente caro (non so se sia mai stato affrontato perché mi rifiuto di guardare programmi televisivi che del Covid parlano in termini angoscianti e snocciolano solo numeri spesso poco veritieri) e che chiamerei “I disabili ai tempi del Covid”.

Sono la sorella di un ragazzo trentenne affetto da sindrome di down che frequenta un centro diurno in un comune limitrofo a quello nel quale abita. I mesi di marzo e quelli in cui tutta Italia era zona rossa sono stati mesi nei quali Andrea non ha potuto frequentare il centro: fortunatamente mia madre non lavora e si è potuta occupare a tempo pieno di lui in quanto io e mio padre lavoravamo nella nostra azienda che è potuta restare aperta; ma se anche mia madre avesse lavorato o se i miei genitori non avessero potuto occuparsi di Andrea cosa avrei dovuto fare io? Rinunciare a lavorare? Il Comune dove è ubicato il centro che mio fratello frequenta aveva messo a disposizione delle famiglie dei disabili le operatrici che lavorano nel centro per l’assistenza domiciliare la mattina (ovviamente garantendo alle stesse spazi idonei ed esclusivi che venissero quotidianamente igienizzati) ma il comune nel quale risiede Andrea non ha intrapreso iniziative di tale natura o quantomeno non le ha portate a nostra conoscenza.

Al di là dell’aspetto organizzativo (comunque di non poco conto) mi preme soffermarmi su quello psicologico: è stato difficile far capire ad Andrea che le sue abitudini (che per la maggior parte delle persone con disabilità sono sinonimo di sicurezza e stabilità) sarebbero state stravolte a tempo INDETERMINATO! In più di una occasione mi sono dovuta recare a casa sua perché era in crisi e profondamente agitato. Qualche settimana fa (quando la Toscana era zona arancione e non ci si poteva spostare da un Comune all’altro salvo ragioni di lavoro, salute e necessità) abbiamo dovuto avvertire la polizia municipale dei comuni nei quali io e lui abitiamo (forze dell’ordine che si sono mostrate gentili e comprensive) per garantire ad Andrea di poter trascorrere un fine settimana a casa mia; a ciò si aggiunga il certificato medico del nostro medico di famiglia che ci consente tali spostamenti per Andrea vista la sua situazione.

Quello che ho sopra rappresentato è quello che noi stiamo vivendo da ormai un anno (e che si aggiunge a tutti i problemi che le famiglie di disabili affrontano nel quotidiano: non solo e non tanto per la disabilità del proprio familiare ma per gli strumenti che l’Italia non offre – a livello amministrativo, burocratico, di assistenza – a chi si trova in una situazione analoga alla nostra): mi piacerebbe che chi emana i provvedimenti che da un anno a questa parte stanno regolando le ns esistenze tenesse conto anche di queste persone “speciali”.
La ringrazio per l’attenzione che vorrà dedicarmi.
Saluti
Alessia, 30 gennaio 2021