Caro Nicola,
mi chiamo Paolo, ho 32 anni, vivo a Torino. Sono un partita Iva, un cattolico e un liberale. Ti scrivo perché spero tu possa aiutarmi a trasmettere un messaggio alle tante persone che ho incontrato. Agli amici di Comunione e Liberazione che mi hanno reso la persona che sono, ai miei parenti, ai compagni liceo, e ai compagni di battaglia dell’Università di Torino e di Bologna: attenti, stiamo perdendo la libertà. Che sarebbe poi ciò di cui siamo fatti.
Per chi, come me, è cristiano, il modo in cui siamo stati creati; e anche per chi non crede, immagino, la cosa più preziosa in terra. È come l’aria. Se viene a mancare in una stanza, all’inizio non te ne accorgi, perché è invisibile. Te ne rendi conto quando è tardi, perché hai le vertigini. E rischi di non arrivare con le tue gambe ad aprire una finestra.
Oggi l’Italia sta soffocando per decisioni scellerate e liberticide di questo governo. Mi costringo a pensare che la maggior parte dei responsabili sia in buona fede; esattamente come lo sono stati tanti funzionari di ogni dittatura. Anche se non ti nascondo che la mancanza di consapevolezza del Pd in questo senso ha dell’incredibile. Ma ciò che più preoccupa me e, devo dire, larga parte dei miei coetanei (forse perché noi ’88 siamo una generazione incazzata da ormai 10 anni) è l’omologazione intellettuale di massa.
Noi Italiani stiamo obbedendo, ingoiando, prendendo le bastonate e dicendo anche “grazie” con un bel sorriso in faccia. E additiamo chi non fa così. Che sia attiva, cioè sposando le posizioni assurde assunte dai media, o passiva, cioè abdicando al dovere di esprimere un giudizio personale onesto su ciò che avviene, quella che viviamo è pura omologazione, conformismo, timore del delatore. La nostra pigrizia e vigliaccheria stanno permettendo lo sfacelo del nostro Paese.
E così qualcuno che da giovane mi parlava di “irriducibilità dell’umano” oggi rinuncia a festeggiare il Natale con i propri cari per amore dell’educazione civica. Altri mentre mi parlano di vita eterna stanno lasciando che la paura della morte determini tutta la loro vita. E tanti altri, avversari, “nemici” e anche amici che mi hanno sputato in faccia per anni la parola “libertà” come un appannaggio esclusivo della cultura rossa, oggi mi provocano una compassione infinita, mentre cantano Bella Ciao sul balcone, segregati in casa dallo Stato. Gli stessi, scusa se me lo concedo, che mi parlavano di panem et circenses quando andavo allo stadio. Beh, forse non era questa la libertà per cui è morto il partigiano della canzone.
Io spero che tutto noi ritroveremo il senno e quel briciolo di amor proprio che ci porti a dire “adesso basta”, e a dirlo pubblicamente. A chiamare le restrizioni della libertà col loro nome, a disprezzarle piantandola di giustificarle dietro un buonsenso che è paura di morire, paura del giudizio degli altri e un cinismo che ci vuole tutti in vita magari per 200 anni chiusi in una scatola sottovuoto, invece che vivi per soli altri 50 ma liberi e felici. Dobbiamo aprire le finestre subito, e fare entrare in po’ di aria. A costo di rompere qualche vetro.
Paolo, 25 dicembre 2020