Caro Porro,
la mia è una delle tante lettere lamentela che starà ricevendo in questi mesi, ho 33 anni, un figlio, un lavoro precario, sto cercando di terminare l’università per migliorare la mia posizione e ho un marito, partita Iva dello spettacolo, disoccupato da marzo. Una dei tanti, starà pensando. Una dei tanti trentenni che si sono visti portare via i sogni, i progetti di stabilità e di carriera. Una dei tanti che nessuno vuole ascoltare. Una dei tanti che pensa che queste reclusioni forzate non servano a nulla se non a minare la salute mentale di chi le subisce e, da bravo cittadino, cerca di rispettarle.
Una dei tanti che è stufa di sentirsi ingabbiata fisicamente e mentalmente in questa farsa grottesca di pensiero politic/pandemic corretto.
Per questo mi rivolgo a lei quasi come a un padre confessore, sottovoce, perché la beffa in questa situazione è anche questa: non posso dire quello che penso. Vorrei urlare al mondo che io voglio convivere con il Covid, che io voglio bermi l’aperitivo in piazza con i miei amici, che io non credo in questi movimenti acronimo che tanto vanno di moda adesso (Blm; Lgbtq ecc ecc, tanto per citarne due), che io voglio che mio figlio cresca con spirito di identità nazionale e non con questo finto globalismo alla volemose bene.
Purtroppo, non posso, altrimenti verrei tacciata nell’ordine di negazionismo, razzismo, omofobia, sovranismo e comincerei a vedere gli sguardi torvi delle mamme all’asilo e gli amici comincerebbero a rifilarmi i predicozzi su come “una persona come me può essere di destra” (con quell’arietta saccente da comunista da divano, semicit.). Sono stanca, Porro, stanca di tenermi tutto dentro. Nella speranza che qualcuno mi veda uscire dal confessionale,
Cordialmente sua
Erica, 24 gennaio 2021