Appena ho ricevuto questa lettera, non ho esitato un secondo e ho subito deciso di sottoporla ai commensali della Zuppa. Quelli che parlano bene direbbero che è un paradigma, opposto a quello del mainstream. Una donna, infermiera, sindacalista (Mimma Sternativo, Segretaro Fials Milano area metropolitana) che ci dice: basta con l’ideologia livellatrice della “parità”, basta con la donna-panda da tutelare paternalisticamente, basta con la retorica e la guerra alla grammatica. Sì al merito, si alle persone, si al riconoscimento dello sforzo e del valore individuale. Grazie mille Mimma, è quel che pensiamo da queste parti. Nicola Porro
di Mimma Sternativo
Donna. Infermiera. Sindacalista. La mia stessa esistenza per qualcuno potrebbe essere racchiusa tutta lì, in tre parole. Per quelle tre parole ho dovuto battagliare tanto. Per provare a diffondere quanto più possibile il fatto che gli infermieri sono altro da un tizio che ti fa le spugnature. Sono professionisti che col medico fanno squadra, tutt’altro che essere subordinati. Che monitorano il paziente e somministrano cure a volte ad altissima complessità. Da sindacalista mi sono seduta poi a tavoli spesso “per soli uomini”. Donna. Ho dovuto lavorare più di quanto avrebbe dovuto fare un uomo per essere ritenuta credibile? Si, a volte. Tante. Mi sono state fatte battute a tratti inappropriate, sono stata ridotta a tacchi e gonna? Ѐ successo. Questo mi ha impedito di vincere le mie battaglie? No.
Lo scrivo perché mi pare che, se pur armata dei migliori propositi, la battaglia per la parità (che sia quella salariale o quella d’accedere a posti dirigenziali) si stia trasformando in altro. Come la demonizzazione dell’uomo o la mutazione della femminilità in un’accozzaglia di recinti e tutele. Perché alle battute si risponde, di alcune si ride anche. Altre le si regola con l’abilità. E se tutto diventa mobbing niente lo è più. Perché le battaglie femministe troppo spesso s’incanalano nell’elevazione delle “quote rosa”, che dovrebbe essere uno strumento che utile a limare le discriminazioni e che quindi dobbiamo sperare sparisca il prima possibile. E va riconosciuto che a volte è successo facessero attrito con la meritocrazia, le quote rosa. Perché non sempre quella “poltrona” era meritata o, troppo spesso, chi di dovere si è ricorda all’ultimo della quota e ha aggiunto qua e là nomi a casaccio, impreparati. Questo aiuta la donna? Non credo. Come non credo che un “il” o un “la” faccia grande differenza. La differenza la fanno le possibilità, la meritocrazia.