La posta dei lettori

Caro Porro, sono studente pendolare e non rompo le balle in tenda

studentessa tenda

Egregio dott. Porro,

Le scrivo questa lettera per offrire un esempio plastico di quanto sia ipocrita e demagogica la protesta degli studenti universitari nelle tende contro il caro affitti. E questo per almeno tre ragioni principali. La prima è quella che lei ha sempre sostenuto: gli universitari pagano una piccola parte di quello che il singolo studente costa all’università. Insomma, ci si trova nel paradosso che gli italiani non laureati, con le proprie tasse, debbano pagare l’università ai giovani che si vogliono laureare. Un controsenso per definizione, o una “ingiustizia sociale” direbbero i vecchi comunisti.

La seconda ragione, invece, è la seguente: il caro affitti riguarda solo gli studenti universitari oppure anche i lavoratori? La protesta sembra presentare il problema come fosse limitato solo alle generazioni più giovani, e invece riguarda tutti gli italiani: dagli universitari ai camerieri, dagli operai ai baristi, e via andare.

La terza ragione è invece personale: sono uno studente di 22 anni che frequenta il quarto anno di giurisprudenza. Da quattro anni faccio il pendolare per frequentare le lezioni, senza aver mai comprato o affittato un appartamento (e quindi gravare ancora di più sulle finanze della mia famiglia). Nella protesta, leggo studenti di Bergamo che si lamentano per il caro affitti di uno stabile a Milano.

Per approfondire:

Ebbene, da Bergamo a Milano centrale in treno ci si mette meno di un’ora ed è decisamente più economico rispetto all’affitto. Certo, fare avanti e indietro da una città all’altra richiede più sacrifici, più tempo, meno ore di sonno (a seconda degli orari delle lezioni, a volte prendo il treno delle 6.15 con sveglia alle 5 di mattina), ma è proprio questo che molte volte manca alla mia generazione: tirarsi su le maniche e agire di conseguenza. La soluzione è semplice ed è la più antica di tutte: il pendolare, senza troppe pretese o contestazioni.

Grazie dell’attenzione.

Marco G.

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