Caro Porro,
bisogna temere i deficienti e gli ignoranti addirittura più dei delinquenti. Questi ultimi, infatti, raggiunto l’obiettivo prefissato si fermano; per i primi invece non vi è limite, e possono portare a nefande realtà che superano anche la più perversa e macabra fantasia.
Ecco perché occorre indagare su alcuni interrogativi: cosa spinge taluni a volere assolutamente auto elettriche ed abitazioni definite “green”? questi sono degli obiettivi o solo condizioni di transizione verso ancor più nefande realtà? Ed occorre valutarlo sulla scorta di dati oggettivi, ufficiali, e non frutto di pulsioni ideologiche.
Dall’ultimo documento ufficiale sulla “Situazione energetica nazionale”, quello del 2021 (pubblicato a luglio 2022 sul proprio sito dal Ministero della transizione ecologica dell’epoca) risulta che il fabbisogno domestico per il riscaldamento e raffrescamento degli edifici è prossimo al 10% del fabbisogno energetico nazionale.
Poiché, in termini di emissione di CO2 mondiale, l’Italia incide con circa l’1%, deriva che i proprietari delle abitazioni italiane dovrebbero dissanguarsi, adeguando la classe energetica degli edifici, per ridurre parzialmente, ed in modo non significativo, quello un per mille dell’emissione mondiale di CO2 dovuto alle perdite termiche degli edifici con classe energetica meno performante.
Volendo portare un esempio equivalente in termini monetari, che quindi tutti ben comprendono, è come se un signore che ha un problema finanziario di un milione di euro volesse affrontarlo e superarlo, imponendosi disumani sacrifici, risparmiando qualche decina di euro su una cosa che costa mille euro (l’un per mille di un milione di euro).
Di quel signore è legittimo, e doveroso, chiedersi: ha corretta e totale capacità intellettuale? Ha conoscenza dei rudimenti di matematica? è forse mosso da intenti delittuosi?
Dallo stesso documento “Situazione energetica nazionale 2021” si apprende anche che “Il settore dei trasporti concentra circa un terzo dei consumi energetici complessivi del Paese”; di questi circa lo 83% è dovuto ai trasporti stradali [fonte GSE]. Comparando i valori riportati in quel documento risulta che in Italia il consumo per trasporti stradali è pari a circa il 150% del fabbisogno nazionale di energia elettrica.
Orbene, una Italia che già importa energia elettrica per circa il 15% del fabbisogno, che ha difficoltà a garantire la sostituzione delle centrali a carbone da dismettere entro il 2025, che non sa come sopperire alle mancate importazioni di energia elettrica che si avranno quando la Svizzera nei prossimi anni uscirà dal nucleare, come potrebbe aumentare di un ulteriore 150% il proprio fabbisogno elettrico, necessitante per un passaggio all’elettrico dei trasporti stradali?
Quanti affermano che la problematica può essere superata con il fotovoltaico, con l’idrogeno, con fuel cell, ecc., mi portano a mente le vecchie signore che, dopo cena, si dedicano nobilmente alla preghiera; quando giungono al Padre nostro così recitano: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
Lungi da me, che ho fatto il chierichetto e studiato dai Salesiani, il voler risultare blasfemo, ma poverine, non hanno idea di quello che declamano: dopo cena si può, al più, invocare un digestivo, ma non certo il pane quotidiano di cui hanno già beneficiato.
Anche chi vede nel fotovoltaico & C. la manna potrebbe non avere idea di quanto proclama, e passo a provare l’assunto.
Sempre dal documento “Situazione energetica nazionale 2021” si apprende anche che “il solo sviluppo di capacità FER non è però sufficiente” a garantire la dismissione dei “restanti 6 GW circa di capacità termoelettrica a carbone”; come potrebbero allora le fonti energetiche rinnovabili anche annullare l’importazione di energia elettrica dall’estero e far aumentare la disponibilità di energia elettrica di un ulteriore 150%?
Delle due l’una: o i documenti ufficiali della Repubblica, come è quello denominato “Situazione energetica nazionale 2021”, riferiscono dati e circostanze totalmente errati, o chi indica nel fotovoltaico & C la panacea, chi vuole imporre abitazioni ed auto definite “green”, naviga nel mondo delle favole. Da cittadino di un Paese democratico voglio, e devo, escludere che i documenti ufficiali, istituzionali, possono essere viziati da crassi errori giammai rettificati.
Tutti noi vorremmo quel tipo di mondo “green”, come tutti noi vorremmo eliminare la fame nel mondo, ma, come recita un proverbio francese: dire et faire font deux.
Chi fantastica nel mondo dei sogni, invece, conosce solo la versione in italiano, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, pertanto è impropriamente convinto che è sufficiente una imbarcazione, nonché perizia nella navigazione, per passare dal dire al fare.
Un dato, difficilmente noto a chi non è avvezzo alle conversioni tra le diverse unità di misura o non opera professionalmente nel settore, permette di farsi idea dell’abisso esistente, per le questioni di cui trattasi, tra il dire ed il fare: per produrre con fotovoltaico a terra la stessa quantità di energia corrispondente a solo il 10% dei prodotti petroliferi utilizzati in Italia per i trasporti occorrerebbe impegnare una superficie di circa 700 km², equivalente ad una fascia larga circa un chilometro che corre parallelamente all’autostrada da Napoli a Milano.
La stessa quantità di energia elettrica i francesi la producono, con una centrale nucleare, impegnando una superficie mille volte inferiore: 0,7 km2. Tanto viene riportato come mero dato, come informazione tecnica, ed assolutamente non come elemento di indirizzo.
Pertanto, anche per chi nei giorni scorsi ha fatto scelte mirate ad imporre auto elettriche ed abitazioni “green” è legittimo, e doveroso, chiedersi: ha corretta e totale capacità intellettuale? Ha conoscenza dei rudimenti in materia? È forse mosso da intenti delittuosi?
Nel contempo, però, tutti noi dobbiamo fare ammenda e riconoscere le proprie responsabilità: la clemenza e la benevolenza, infatti, possono far crescere dei mostri. Nei decenni passati con eccessiva clemenza e benevolenza, silenti, abbiamo permesso a Bruxelles di emanare direttive per le quali abbiamo anche sorriso, senza renderci conto che, forse, stavamo allevando un mostro.
Ad esempio, con la direttiva 99/74/CE fu statuito che dal 1 gennaio 2003 ogni gallina aveva diritto ad uno spazio vitale maggiore di quello garantito dalle gabbie dell’epoca: 550 cm². Il risvolto fu che, poiché non risultava economicamente conveniente investire in nuove gabbie, l’Italia si trovò col 20% di galline ovaiole in meno e non risultò più autosufficiente nella produzione di uova, con l’esigenza di importare circa due miliardi e mezzo di uova all’anno.
E che dire del regolamento n. 2561 del 1999, sulle dimensioni minime del pisello per poter essere commercializzato, o del regolamento n. 2257/94 sulla lunghezza e larghezza minime della banana per poter essere commercializzata?
Col passare degli anni, quel soggetto a cui, con eccessiva clemenza, è stato permesso di fissare, senza ricevere rilievi, regole capestri come quelle appena ricordate, autoreferenziandosi, si è persuaso di avere attitudine a fare scelte di buon senso, fino ad avere la pretesa di fare scelte in tema energetico come quelle che ci sono state imposte in questi giorni.
Si tratta però di scelte fatte utilizzando la stessa regola di circa cinque lustri fa: il criterio del pisello e della banana.
Pasquale Romano, 30 marzo 2023