Sembra che Voltaire non abbia mai scritto la nota frase: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”. Non c’è dubbio che però essa sia un architrave della cultura e civiltà liberale, quella che alla fin dei conti è in gioco nella guerra di Ucraina dopo che si è capito che la popolazione non aspira certo a ricongiungersi a Mosca e a sottoporsi al suo regime e alla sua ideologia.
La guerra del Pd a Orsini
Fa perciò specie che un Partito come quello Democratico, che si presenta continuamente (ipocritamente?) come campione di atlantismo e occidentalismo, disponga un’interrogazione parlamentare in Commissione di Vigilanza (e che la Rai prontamente ubbidisca) in cui si contesta un contratto stipulato dal sociologo Alessandro Orsini definendo “assolutamente inaccettabile che le risorse del servizio pubblico radiotelevisivo vengano utilizzate per finanziare i pifferai della propaganda di Putin”.
Una deriva stalinista
È come se un vecchio riflesso condizionato fosse qui venuto fuori, fin nel linguaggio adoperato (“pifferai”) di chiaro stampo stalinista e che non avrebbe sfigurato nemmeno in bocca al più antioccidentale e antiamericano dei leader comunisti italiani: quel Palmiro Togliatti che definiva “cimici” coloro che non la pensavano come lui. È questa voglia di “pensiero unico”, di omologazione e “normalizzazione”, che fa paura, e che si ritrova in tante iniziative ideologiche del partito di Letta (in questo caso suffragato anche, con Michele Anzaldi, da quella Italia Viva il cui leader un tempo si era proposto di “spezzare le catene della sinistra”): dalle proposte di legge sulle cosiddette fake news (quasi che Socrate invece di andare in piazza per confutare i sofisti avesse chiesto una legge per zittirli) a quelle sui temi connessi alle tematiche della vita e della sua protezione.
Insomma, proprio perché la guerra, come dicevo all’inizio, si pone su un terreno anche culturale, non possiamo combattere Putin usando i metodi putiniani. Lo ha detto bene, e con semplicità, Draghi in difesa dei giornalisti de La Stampa da una denuncia dell’ambasciatore russo in Italia Razov, e non si vede perché non debba valere anche per Orsini: “La libertà di espressione è da noi garantita dalla Costituzione e l’ambasciatore, abituato a un paese dove non c’è libertà di stampa, dovrebbe sapere che da noi si sta meglio”.
Chi scrive non solo giudica bizzarre, oltre che francamente illiberali, molte tesi di Orsini, e dubita anche non poco (e non da oggi) della loro solidità scientifica; così come giudica infernale quel meccanismo mediatico che porta a comprare i ragionamenti per premiare chi (come Orsini appunto) la “spara grossa”; ma non per questo invoca censure, né si mette di petto contro quei meccanismi della comunicazione a cui tutti in diversa misura soggiaciamo (e che Orsini in questo momento cavalca alla grande).
È pure d’accordo con chi, come Daniele Capezzone, insiste sul fatto che i problemi della Rai derivano dal suo non agire in un’ottica di mercato e ne invoca la privatizzazione. E può anche guardare in cagnesco (questione di gusto!) certi narcisismi impudichi del professore (e in verità non solo di lui). Ma vorrebbe che questi elementi venissero fuori in un libero dibattito e in una crescita della consapevolezza generale. La quale, come scriveva John Stuart Mill, può nascere non solo dal confronto delle opinioni ma anche dal confronto di una retta opinione con le cazzate. Ecco, per un liberale esiste anche un “diritto alla cazzata”, così come (è sempre Mill che parla) all’infelicità e a tutto ciò che uno vuole se non reca danni evidenti agli altri. L’importante credo sia sempre quello di distinguer i piani di discorso, che è poi ciò a cui più in questi anni ci siamo disabituati. Un aspetto della nostra “crisi”, che è crisi di valori persi o da rinsaldare.