Repubblica, come c’era da aspettarsi, è diventata il comitato elettorale permanente di Ilaria Salis, la cacciatrice di nazisti; oggi tocca al nostro Fabio Tonacci ma la sua non è proprio un’intervista, non proprio fame di saperne di più, è più qualcosa di dolciastro, di melenso, tipo Chiara Ferragni col manganello al posto del pandoro. “È lei l’anti-Vannacci?”. «Non sono l’anti di nessuno. Trovo svilente ridurre la politica a un talk show. Non mi interessa diventare un personaggio»”. E siamo già alla bugia ostentata perché se c’è una cosa che quelle come la Salis inseguono è il personaggio e ogni risposta lo conferma, ogni autoindulgenza, immancabile, martellante, sul vittimismo carcerario lo ribadisce.
Già, la precaria che bivaccava alle case popolari, senza titolo, d’improvviso svoltata per il dio storicistico della provvidenza, ha voglia di rivalsa, una rivalsa capitalista, una rivalsa di potere e si pone come vestale del neopotere europeo, una che a modo suo, per strade tortuose fin che si vuole, ce l’ha fatta e, senza essere politica, già parla da politica: “Sto studiando. Sto imparando. Non ho tempo. Il telefono squilla sempre”. Se le fanno notare che certe sue uscite improvvide le si ritorceranno contro, sfodera la tipica risposta da politico navigato, da notabile democristiano del sud del sud non dei santi, ma della Prima Repubblica: “Il teatrino non mi interessa. Io guardo avanti lungo il mio percorso politico”. Sempre tesa al rinnovamento, la nostra Gramscina.
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“Che Orbán sia venuto qui dalla Meloni non mi tange: sono affari della destra”. Non le tange, l’euronorevole Salis ha altro da fare che occuparsi di geopolitica, lei “la Ilaria di sempre”, vedremo poi al ritiro dei primi stipendi, ha da ribadire la sua coerenza con argomenti francamente melensi, che non stanno in piedi per quanto Repubblica si impegni a puntellarli: «La famosa casa dello scandalo… la polizia mi ha trovato lì nel 2008, quando avevo 24 anni. Oggi ne ho 40. Da allora non sono più andati a fare verifiche per vedere chi ci abitasse, però l’Aler mi contesta lo stesso un debito di 90 mila euro». Fin dove si può spingere la lotta alla casa senza che essa stessa diventi un abuso?, soccorre il Tonacci, consapevole che la via socialcomunista all’illegalità regge fin che regge, cioè non regge affatto: e la risposta è ancor più evasiva, inconsistente al limite dell’infantilismo ginnasiale o da centro sociale: «Prendiamo Milano, 12.000 appartamenti popolari sfitti e 10.000 nuclei familiari in lista di attesa. I movimenti per la casa non tolgono niente a nessuno, cercano di risolvere con altre modalità un problema che le istituzioni non risolvono». E con ciò? Cominciamo da casa tua e dei tuoi demiurghi Fratoianni&Bonelli?
È dura far da comitato elettorale a chi non ha nessuno spessore, nessuna profondità. “Mi batterò per la difesa dei detenuti, del lavoro precario, dei migranti per i quali ci dobbiamo assumere la responsabilità storica dei morti in mare, e del diritto alla casa”. Quando non si hanno ragioni, la soluzione è sempre la stessa: mescolare tutto, centrifugare tutto finché non si distingue più niente e le contraddizioni scompaiono risucchiate nel vortice di retorica strampalata, di frasi fatte assurde o immature.
«Mi fanno schifo. È preoccupante e pericoloso che siano tollerate in un Paese come il nostro, emanano da un’ideologia di morte». E Ilaria Salis non parla delle frange islamiste, legate ad Hamas, coccolate dalla sua formazione, dal suo “percorso politico”, ma, imbeccata a dovere, dei quattro balordi di destra che fanno battute sui forni crematori e gli ebrei. Sì, è dura cavar sangue da una rapa, ma Repubblica, organo del Pd, ci prova: e che altro potrebbe fare se questa maestrina esaltata è roba sua, se gli impresari Fratoianni&Bonelli si sono solo assunti il rischio d’impresa per una Schlein che ci ha provato ma è stata stoppata dall’ala cattobigotta del partito?
Cambia poco, resta la sostanza, che non c’è, e su quella che c’è meglio stendere un velo pietoso. “Chi si definisce antifascista deve contrastare le formazioni fasciste”. Ecco una bella uscita allo scoperto col tipico frasario allusivo violento di cui serbiamo antica memoria e triste memoria. Detto da una che ancora rischia, ma non sta bene dirlo, Repubblica ci passa sopra, una accusa per tentato omicidio su esponenti di “formazioni fasciste”. Oltre ad alcune condanne definitive e, repetita juvant, 29 precedenti di polizia per azioni preoccupanti, non esattamente pacifiste e nonviolente.
Ma una cosa va dato atto alla compagna Salis, lei di nonviolenza non ha mai parlato. “Sono la Ilaria di sempre, il carcere non mi ha cambiato, i miei ideali sono gli stessi”. Questo vedremo, ma una così l’hanno votata in centosettantamila e non è stata tanto la rantumaglia dei centri sociali abusivi, sono accorsi in massa i borghesi della Milano centro, ricca e opportunista, all’occorrenza ladrona, quelli che nelle chat fra ex liceali inneggiano alle care vecchie Brigate Rosse, sfoderano i volantini e manifesti d’antan di Democrazia Proletaria e intanto fanno i soldi parassitari con gli affitti brevissimi, cinque, seicento euro al giorno un loculo fatiscente da 12 metriquadri e, come la loro eletta, se glielo fai notare ti ringhiano: “Beh? Che c’è? Non ti sta bene? Rosica pure, ma io mi batto contro le sperequazioni, contro il capitalismo globale, contro l’onda nera che ci sta sommergendo”.
Max Del Papa, 25 giugno 2024
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