Caso Armine: ormai è vietato anche essere brutti

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La bellezza non salverà il mondo, Dostoevski se ne faccia una ragione, il kalos kai agathòs è una consolazione greca, come le olive del sor Brega, la Bellezza maiuscola di cui tutti i parolai si riempiono la bocca è un flatus voci che vola via. Per la semplicissima ragione che la bellezza è stata abolita per decreto non scritto del politicamente corretto o, per dirla come il fraticello Antonino da Scasazza di Nino Frassica, “non è bello ciò che è bello, ma che bello che bello che bello”. E che bella che bella che bella che è la modella Armine Harutyunyan, la più amata da Gucci – et pour cause, e da tutti quelli che ben pensano. Anche se pare la donna che piange di Picasso. Anche se la bellezza, essendo fatta di canoni estetici, per lo meno nella moda, risponde, dovrebbe rispondere a precise esigenze, a lineamenti definiti.

Guai! Chi l’ha detto che Armine non può sfilare, che ha sbagliato mestiere, che non vale, da un punto di vista squisitamente formale, una Sofia Loren o, più ai nostri giorni, una Olivia Wilde (per esempio)? Mai come nel regno dell’etica estetica impera il comandamento grillino, una vale una: son tutte belle le modelle del mondo, purché adottate dalla parte giusta; prova ne sia che la folgorante leggiadria di Armine si è cominciata a incrinare appena è spuntata la foto di lei che si spara il “saluto romano” con l’Altare della Patria di sfondo: un significante senza significato, un gesto approssimativo, che la ragazza non voleva né poteva rivestire di alcuna patina ideologica: ma è bastato al “contrordine, compagni” della milizia trinariciuta: “Beh, oddio, in fondo in fondo… E poi, non è nemmeno bella”, come cantava Alice. Qualcuno, su Twitter, ha scagliato un tweet al vetriolo: “Ave Cessare”.

Non è bello ciò che è bello, che bello che bello che bello obbedire alla bolla pandemica dell’ipocrisia: la Bellezza, sempre maiuscolo, per la Madonna, non è nell’occhio di chi guarda ma nella fede di chi milita. A questa stregua, e solo a questa, vengono cassate tutte le distinzioni, le percezioni, una fanciulla dai tratti percettibilmente irregolari deve essere imposta come una delle donne più splendide splendenti, una Venere uscita dall’acqua, perché così dev’essere, perché fare confronti è sessista, perché valutare in base all’armonia dei lineamenti è da stalker, perché “ve ne fate anche di peggiori”, secondo il raffinatissimo e per niente razzista argomentare del femminismo ultrà, perché così ha deciso la comunicazione della moda che è tra le più potenti, snobistiche e colluse con lo stupidario farisaico di stampo democratic. Ma sussiste qualche dubbio che una potenziale cliente preferisca una gigantografia in mutande di Carlo Delle Piane, pace all’anima sua, ma è solo per la singolare somiglianza con Armine, ad una, poniamo, di Paul Newman o Henry Cavill.

Si finisce nella violenza a se stessi, nello stravolgimento dei sensi e della ragione. Si finisce per privare di senso qualsiasi distinzione, con il che nessuna società organizzata può resistere, perché regolare la convivenza come se tutto fosse uguale a tutto è oltre il manicomiale. E invece è proprio quello che sta succedendo. Che ci vanno imponendo. Armine è bella, bellissima, punto e basta, a patto che non faccia saluti imbarazzanti. Che è come dire che le mascherine mentre si fa il bagno da soli in mezzo al mare salvano dal contagio, che i virologi utilité la sanno lunga e non sbagliano mai, che i vippetti del coviddì sono sinceri, che i banchi rotanti sono la soluzione geniale alle pandemie, che la Cina, come dice Di Maio, è la meglio democrazia, che non esistono confini né migranti ma solo “persone umane” e su per li rami del delirio, della mancanza di senso, della censura ad ogni logica. Tutto vale tutto, cioè vale niente.

Non è neppure questione, al limite, di bellezza o di leggiadria: ci sono sempre state e sempre ci saranno donne asimmetriche ma seducenti, ammalianti, ci sono sempre stati personaggi riconoscibili, veramente brutti ma carismatici, da Frank Zappa a Keith Richards. C’è una poesia anche nel logoro, nel consunto, nella vita che si agita disperata nel brutto delle metropoli, nei suoi anfratti reconditi, negli abissi delle nostre paure. Ma pretendere, decidere che la mirabile Armine sia bella per decreto, per agenda politicamente corretta, semplicemente non ha senso: non la è, ed è nostro dovere notarlo. Senza infierire, ma anche senza trangugiare la vulgata dell’idiozia, imposta da logiche che nulla hanno a che vedere col senso e col buon senso.

Che la 23enne Armine, ossuta, cubista, sia tra le 100 donne più sexy al mondo, lo può dire solo chi ha qualche problema con la percezione della sensualità. Che “debba” fare la modella altrimenti è stupro morale, e vai col tango, Trump, i sovranisti, il metoo, il maschio bianco infame, è miseria intellettuale (difatti Gucci ci gioca, altro che se ci gioca). E se si accetta, da sempre, l’equazione, peraltro immotivata, “bella uguale oca”, si deve anche accettare che la bruttezza, almeno in senso canonico, non sia per ciò stesso fulgore. Se poi su Twitter legioni di bovini mandano i loro muggiti, questo fa parte, in un certo senso, del gioco, l’umanità bestiona non la raddrizzi; ma è pure l’effetto, scentrato quanto si vuole ma inevitabile, di una insofferenza montante per chi, in nome della bellezza che salva il mondo progressista, vuole imporre un mondo nuovo, del tutto distopico. Anzi, distorto.

Max Del Papa, 1° settembre 2020

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