Le trattative sono il fondamento della politica. Non però se sei Presidente della Repubblica, almeno del nostro ordinamento costituzionale. Qui tu dovresti rappresentare lo Stato non i partiti, e men che meno alcuni a discapito degli altri. Perciò i costituenti consigliavano che il ruolo di presidente dovesse essere ricoperto da figure estranee alle macchine di partito: ma non è quasi mai accaduto.
Se sei il presidente delle trattative, qualcosa insomma non funziona. E Giorgio Napolitano rischia di passare alla storia come tale. Due almeno, le trattative a cui il suo nome è associato; la cosiddetta Stato-mafia che fu nobile, perché il presidente in quel caso avrebbe tutelato la Ragion di Stato, attorno ad eventi in cui non era coinvolto in prima persona (ai tempi della supposta trattativa era solo Presidente della Camera dei deputati). Non a caso 5 Stelle e il gregge travagliaesco, che capiscono di Ragion di Stato come il sottoscritto di astrofisica, hanno attaccato Napolitano soprattutto per questo.
Ora però spunta una nuova trattativa, per certi aspetti più inquietante. Un cronista attento ed autorevole, come Augusto Minzolini, sul Giornale, scrive che, pochi mesi dopo essere stato rieletto, Napolitano in persona si sarebbe recato addirittura di persona presso lo studio dell’avvocato Coppi, legale di Berlusconi dopo la condanna della Corte di Cassazione, Napolitano – continua Minzolini – avrebbe concesso la grazia al Cavaliere solo se questi si fosse ritirato dalla vita politica. E in un’intervista alla Verità di oggi, Gaetano Quagliariello, allora ministro delle Riforme nel governo Letta e molto vicino al Capo dello Stato, conferma che ci fu una trattativa con il presidente della Repubblica.
Il pezzo di Minzolini è stato pubblicato ieri mattina. Reazioni? Zero. Nessun giornale l’ha ripreso, solo La Verità ha affrontato questo argomento con Quagliariello. Nessuna smentita, almeno pubblica. Ma possibile che solo a me paia un’accusa gravissima, se confermata? – e ripetiamo che Minzolini non inventa le notizie.
Il potere di grazia è una delle tante sopravvivenze monarchiche di cui i presidenti (non solo in Italia) sono dotati e come tale è una prerogativa che, però, non può essere sottoposta a mercanteggiamento, pena far perdere autorità al Presidente e senso stesso all’istituto della grazia. Nel caso specifico poi il «delinquente» da graziare era un tre volte presidente del Consiglio e leader di quella che dal 1994 al 2008 era stato sempre il primo partito del paese. Peraltro, il presidente della Repubblica «graziante» nei confronti del governo del Cavaliere nel 2011 non era stato affatto protettivo: anzi, assieme a Merkel, Sarkozy e Obama fu uno degli artefici della sua strana caduta – non a torto ancora oggi Berlusconi lo chiama «golpe»
La grazia in cambio della uscita di scena del Cavaliere, che contrariamente alle previsioni, nelle Politiche 2013 era andato tanto bene da sfiorare la vittoria. E capo del partito, con il Pd, reggente il governo Letta. La sua dipartita, magari per lasciare tutto in mano al suo delfino Alfano, sarebbe stata una ghiotta occasione per normalizzare l’anomalia italiana, creare una sorta di patto consociativo stabile tra la cosiddetta sinistra e il cosiddetto centrodestra e instaurare un regime duraturo. In cui il dominio sarebbe stato esercitato dalla sinistra, a cui Napolitano apparteneva, con un centrodestra privo di Berlusconi ridotto a portatore d’acqua ai post comunisti. Era certamente questo il disegno del capo dello Stato. Ma Berlusconi, plebiscitato solo pochi mesi prima alle elezioni, avrebbe dovuto andarsene, tradendo cosi il mandato di milioni di elettori, in cambio della libertà personale? Non so se ci si rende conto della gravità della trattativa.
L’operazione, per ragioni che forse sapremo più avanti, fallì. E diciamo fortunatamente, perché la normalizzazione dell’Italia avrebbe finito per renderla schiava ancor più di quello che non fecero Letta, Renzi e Gentiloni, alla Ue e alla Germania di Merkel.
Cosi come fallimentare è stata tutta l’opera del Napolitano 2010-2015, il vero fondatore di questa sgangherata Terza Repubblica: le forzature provocarono solo la distruzione del sistema, senza che egli ebbe la forza, la volontà o il coraggio di portare a termine l’opera. Quando lasciò in anticipo sul suo secondo mandato, nel gennaio 2015, l’Italia era rimasta a metà del guado, per stare al titolo di un suo libro degli anni Settanta. Solo che, anche per responsabilità di Napolitano, ora rischia di affondare, tra i poteri abnormi del Quirinale, il parlamento trasformato in bivacco, i partiti ridotti a consorterie delegittimate di qualsiasi autorità. Il giudizio degli storici sul primo (e si spera ultimo) presidente di provenienza comunista, non potrà che essere molto severo.
Marco Gervasoni, 2 luglio 2020