Caso Cappato, perché dico no al suicidio di Stato

Eutanasia, un nuovo caso per la “Luca Coscioni”. Ma perché scegliere di propagandare la morte altrui?

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Deve essere dura la vita di Marco Cappato: non è facile scegliere come missione-vocazione quella di supportare e propagandare la morte altrui. Perché di questo si tratta ogni volta: di uno show mediatico organizzato a puntino sulla pelle del malcapitato di turno, che avrà le sue mille ragioni (che chi scrive non condivide e non apprezza) per porre fine alla sua esistenza, ma che nel momento in cui si affida a Cappato, non in altri, perde la sua dignità e si trasforma in oggetto (è questa l’alienazione o oggettivazione di cui parlava Jean Paul Sartre, che era un fanatico comunista ma anche un pensatore di una certa finezza).

L’ultimo momento della propria vita, proprio perché per principio solo nostro, non andrebbe vissuto sotto i riflettori. Ma tant’è! Né si può imputare al vecchietto di questa volta (ma come andrà a cercarsele le proprie “vittime” Cappato?), un surplus di consapevolezza che dovrebbe essere della società prima che dei singoli. Se è solo nostra la morte, ancor di più dovrebbe esserlo la morte autoindotta, il suicidio. Considerarlo, da una parte, un diritto, e, dall’altra, un servizio che tocca allo Stato-Moloch garantire e supportare, è segno, a mio avviso, della povertà spirituale dei nostri tempi. Oltre che un esempio preclaro delle contraddizioni e dei cortocircuiti a cui giunge la cultura radicale di massa, per dirla questa volta con Augusto Del Noce, e quella individualistico-libertaria (che non è la liberale), di cui Cappato e la sua associazione (la “Luca Coscioni”) sono rappresentanti.

Se consideriamo diritto ogni nostra pretesa o capriccio, la società diventa per forza di cose una arena darwiniana di sopraffazione e di sopravvivenza del più forte. Sembrerebbe quindi che l’individuo, concepito nel nesnso astratto e non in quello concreta di persona umana, sia qui il tutto. Ma poi si chiede allo Stato di giuridicizzare, cioè di far diventare legge e affidare alla tutela dei suoi burocrati, quel che pur si è dichiarato essere un diritto individuale. E così, altro cortocircuito, lo Stato moderno, nato per proteggere la vita, si fa dispensatore di morte.

C’è poi un altro e non secondario effetto indotto da considerare: chi non crede, come il sottoscritto,  che il suicidio assistito sia un diritto, o comunque vorrebbe discrezione sui casi singoli e un serio dibattito pubblico sulla questione in generale, viene considerato non come uno che la pensa diversamente bensì come un retrogrado, un oscurantista, un essere quasi immorale. In una parola, viene delegittimato. In definitiva, quella che si presentava come una posizione libertaria si converte in una illiberale e intollerante. Sarebbe ora di chiudere questa spirale perversa, di spezzare questo circolo: di evitare cioè la reiterazione negli anni di questi show fatti di accompagnamento di poveri cristi in Svizzera a morire e di comunicati stampi e lanci di agenzia per creare l’evento.

Corrado Ocone, 27 novembre 2022

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