Giustizia

Caso Cospito, Nordio revochi il 41 bis

L’appello di Paolo Becchi e Giuseppe Palma sull’applicazione del regime del 41 bis

Giustizia

Alfredo Cospito è un anarchico italiano condannato a vent’anni di reclusione perché colpevole per aver gambizzato nel 2012 l’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, oltre che per aver piazzato due esplosivi fuori da una caserma di Cuneo nel 2006. E fin qui ci sta, al netto delle discussioni che si potrebbero fare sulla proporzionalità della pena. Il punto controverso è l’applicazione a Cospito del regime di “carcere duro” previsto dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario presso la casa circondariale di Sassari Bancali.

41 bis, quando viene disposto

Il regime del 41 bis può essere disposto dal ministro della Giustizia, e da questi revocato, solo per i seguenti reati: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza; associazione a delinquere di stampo mafioso; delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’associazione mafiosa ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose; delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù; prostituzione minorile; delitto di tratta di persone e schiavitù; violenza sessuale di gruppo; sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione; contrabbando di tabacchi lavorati esteri e delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.

La sussistenza di uno dei già menzionati delitti non è tuttavia sufficiente per l’applicazione del 41 bis, occorre inoltre il requisito che il detenuto costituisca un pericolo concreto ed attuale per la collettività, tale da rendere il regime carcerario ordinario non idoneo allo scopo. Il “carcere duro” consiste nella non applicazione ai detenuti dei diritti connessi al regime carcerario ordinario, vale a dire nella non concessione di alcuni benefici di legge: ottenere permessi, godere di colloqui regolari con parenti o estranei autorizzati, interloquire o condividere spazi con altri detenuti, utilizzare il servizio bibliotecario in carcere, usufruire della televisione in cella etc, fino ad arrivare alla mancata dazione di fogli, libri o penne per scrivere. Insomma, fatta eccezione per la mensa e per accettabili condizioni igieniche, le condizioni del 41 bis non differiscono di molto da quelle in uso alla Bastiglia nel Seicento.

È il primo caso di anarchico al 41 bis

Cospito è responsabile di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza; pertanto, l’applicazione del 41 bis nei suoi confronti non è formalmente contra legem. Tuttavia, è la prima volta che un anarchico viene posto in siffatto regime detentivo. Ormai da quasi un mese in sciopero della fame, in questi giorni Cospito è stato ricoverato in infermeria in quanto le sue condizioni di salute si sono aggravate. Che senso ha il 41 bis ad un anarchico, che pur avendo commesso reati gravi, non costituisce un pericolo concreto ed attuale per la collettività? È la stessa Costituzione, al terzo comma dell’art. 27, a delineare i principi della pena: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Cospito ha commesso reati gravi e sta scontando la sua pena, ma non ha ordinato l’uccisione di nessuno, non ha lui stesso ucciso nessuno e non appartiene a nessuna cellula terroristica o associazione di stampo mafioso. Non è dunque il “carcere duro” a Cospito un trattamento contrario al senso di umanità? Quale funzione rieducativa potrebbe avere il 41 bis ad un anarchico che non ha ucciso né ordinato la morte di nessuno? Non basta il regime di detenzione ordinario? Se la pena, per Costituzione, deve avere funzione rieducativa, il 41 bis a Cospito ha sortito l’effetto più disumano che si potesse ottenere, vale a dire il lento lasciarsi morire con lo sciopero della fame. Dov’è la rieducazione? Dov’è il senso di umanità?

L’appello al ministro Nordio

E questo tipo di discorso vale – a nostro avviso – anche per i mafiosi. Che senso ha avuto far morire Bernardo Provenzano al 41 bis se ormai era in condizione vegetativa? Non ha forse lo Stato, in quella situazione, perso l’occasione di dimostrare la sua superiorità sulla mafia? Non è la legge del più forte o quella del “taglione” a dover prevalere, ma la forza della legge su qualsiasi tipo di crimine, anche il più efferato. E a nulla valgono considerazioni del tipo “i morti o i feriti non hanno potuto godere della stessa umanità che si vuole concedere al criminale”, oppure “ci si metta nei panni dei parenti delle vittime”. La vendetta non restituisce nessuna giustizia, né alla vittima del reato né ai suoi parenti.  Ce lo hanno insegnato da Nord a Sud Beccaria e Filangieri.

Ora Cospito si trova nel reparto di infermeria del 41 bis, ma sarebbe opportuno trasferirlo al più presto in un reparto idoneo di un Ospedale fuori dal carcere. Nel frattempo, il ministro della Giustizia Nordio valuti seriamente di revocargli il 41 bis. Diversamente, il Capo dello Stato può sempre concedere la grazia (anche solo parziale) o commutare la pena. E occorre farlo in fretta, prima che il detenuto muoia in carcere in quelle condizioni disumane.

Paolo Becchi e Giuseppe Palma, 27 gennaio 2023