“Eternit fin dal 1974…”
E che l’intento dei vertici di Eternit fosse proprio quello di investire qualitativamente sugli stabilimenti, stagliandosi nettamente al di sopra della media dei concorrenti, è confermato da alcuni documenti “super partes”. Quando nell’80 Eternit affrontò l’operazione di conferimento delle varie società, il consulente del Tribunale di Genova, il dottor Segalerba, si appoggiò a due periti i quali verificarono gli impianti: le conclusioni furono «efficiente manutenzione e continui aggiornamento tecnico». E ancora, nella relazione del commissario giudiziale Carlo Castelli dell’85 si legge: «La Eternit, fin dal 1974, ha iniziato lavori nelle fabbriche tendenti a ridurre, al limite del massimo tecnologicamente ottenibile, le fibre di amianto nell’atmosfera del posto di lavoro. Sembra invece che i concorrenti non abbiano effettuato (o lo hanno fatto in misura del tutto inadeguata) i necessari investimenti per il risanamento dell’ambiente di lavoro».
Considerazioni che lo stesso Castelli confermò anche nel corso del processo Eternit I nel 2010: «La Eternit aveva cercato di fare qualcosa sul campo della sicurezza del lavoro investendo una cifra allora abbastanza considerevole. È una cosa che confermo perché è vera». E in questo senso, hanno proseguito i due consulenti, va letta anche l’istituzione del Servizio Igiene e Lavoro (Sil), l’organismo interno con il compito di monitorare i livelli di polverosità, e di un centro di ricerca in Svizzera diretto da un luminare quale il dottor Klaus Robock.
I flussi finanziari Svizzera-Italia, dunque, dimostrano l’ingente impegno economico da parte di Schmidheiny (84,1 miliardi di lire) a fronte di appena 2 miliardi e mezzo che, dall’Italia, vennero convogliati al gruppo elvetico. Risulta, così, smentita la lettura dell’accusa che vorrebbe Schmidheiny disinteressato alla salute delle sue aziende per mero fine di lucro.