Che la destra abbia un problema culturale è drammaticamente indubbio, che la sinistra possa maramaldeggiarci è grottesco. Il problema culturale si chiama Cultura, citofonare ministero, e tutto il resto è boia di un mondo ladro, ma l’origine del male sta tutta qui: al dicastero Cultura, che poi riflette la tendenza, id est il problema culturale, in qualsiasi villaggio o metropoli dalle Alpi al Lilibeo: alla (millantata) Cultura mettono sempre o uomini ridicoli o tipette andanti, o stagionate “out of time” o figlie del tempo, ne ho vista una, recentemente, una specie di influencer intrattenersi con un tossico, ma con molto sussiego, perché aveva l’assessorato alla Cultura. Chissà se covava sotto un nepotismo paesano. Perché sarà anche vero che dove c’è istituzione culturale c’è sempre come una sorta di sbrigativo disprezzo, “con la cultura non si mangia” diceva Tremonti, che poi non è affatto vero, se uno vuole con queste cose ci pappa e come, ma questo è il cliché allora si procede con le nomine sempre un po’ in saldo, di scarto, ah, è rimasta fuori la Cultura, ma sì, mettiamoci chi volete, tanto è solo per tappare; poi ne discende il ridicolo, il grottesco delle gaffe e degli investimenti su donnine che investono su loro stesse.
È una maledizione italiana, la Cultura sempre trattata da sguattera di lusso delle pubbliche amministrazioni, se si pensa che già Leonardo da Vinci si disperava, “l’arte non è mai finita, è solo abbandonata” e in essa la Musica, della quale era egli cultore, gli pareva “l’ultima derelitta”. “Su fratelli, su cognati, accorrete in fitta schiera”, motteggiava Longanesi; e Flaiano: “L’Italia è una Repubblica fondata sulla famiglia”. Che la destra sul familismo nazionalistico abbia problemi seri, enormi, è tragicamente evidente ma il problema vero però non è tanto questo, è che appena ha potuto la destra è filata in scia alla sinistra. La quale però essendo ferrata da decenni di uso e abuso del potere, lo ha sempre fatto nel modo moralistico che conosciamo e che le ha garantito alibi di fogna, ma inattaccabili: se lo fanno gli altri è amichettismo, è corruttela, se lo facciamo noi è virtù perché noi ci mettiamo i migliori e non è colpa nostra se i migliori siamo noi.
Come la piccina, pidiessina, piddina Giovanna Melandri al Maxxi? Come i protegée dappertutto? Come l’occupazione cinese degli spazi culturali, nessuno escluso? La differenza, una volta è per sempre, è che a sinistra hanno capito che il controllo delle arti e dei pensieri non era una faccenda di potere fine a se stesso, che si giustifica manifestandosi, dilatandosi, al contrario la Cultura diventa formidabile strumento propagandistico, dunque di alimentazione del potere. Da cui il servilismo sfrenato e il nepotismo spregiudicato di tutti quelli di sinistra, nei secoli dei secoli amen, dall’egemonia cominciata per tempo, ancor prima della caduta del Fascismo, e poi perfettamente organizzata nel controllo democratico delle case editrici importanti, le Einaudi e Feltrinelli, con la loro pessima letteratura militante in mezzo a qualche libro ottimo, qualche autore fondamentale, con le riviste di propaganda, a volte alta ma con tutti i guasti e le meschinità che ne conseguivano, “Vittorini se n’è ghiuto e soli ci ha lasciato”, lo sfottò tremendo del “Migliore”, lo stalinista Togliatti, alla fuoruscita, ovviamente provocata, del fondatore: e quelli erano tempi pionieristici ma di livello, fatalmente destinato a scadere in mezzo secolo di egemonia culturale. Ma che diceva il moralista Pasolini, sempre usato, corteggiato ma osteggiato, a proposito del camorrismo culturale comunista?
La destra quanto ad amichettismo fa piccolo cabotaggio, all’occorrenza ridicolo, la sinistra ha sempre organizzato una struttura di controllo spaventosamente efficace: chi scrive ricorda certi scazzi con autori a sinistra del Grande Timoniere (scherzavano, come il prete da treno del “Viaggiatore cerimonioso” di Caproni), in fila per tre col resto di due alle porte di Berlusconi: io glielo rimproveravo e loro mi rispondevano. Noi facciamo la guerra dell’interno. Era una balla miserabile, però era anche la verità: talmente tanti (perfino il terrorista Cesare Battisti, grazie all’amichettismo dei wu ming, pubblicava con la Einaudi berlusconiana…) da imporre il loro pensiero opportunistico: le edizioni e le televisioni del Caimano sono sempre state invase di compagni e Berlusconi li lasciava fare: sapeva che quanto a pensiero erano deboli ma essendo egemoni portavano affari, erano tutti lì, la gente li leggeva, li consumava, lui li produceva ma non per controllarli, come ipocritamente dicevano quelli che trasformavano il loro editore nel loro dittatore preferito: era l’opposto, una semplice questione di mercato e in più lui ci faceva la figura dell’editore liberale, ma più che altro liberista.
A sinistra l’amichettismo non è mai stato in discussione in quanto cosa scontata, genetica e quando una cosa è genetica diventa normale e diventa virtuosa. Le nomine ovunque, i segretari di partito che tutti, da Berlinguer a Renzi, per prima cosa farcivano la Rai con lo sbarco dei lacché, i quali non aspettavano altro e si riconvertivano fulmineamente dal padrone precedente, intere famiglie traghettate, clan domestici alle direzioni delle Cinecittà, degli avamposti istituzionali da cui partono le nomine e i finanziamenti, le direzioni di testata e di rete come un affare familistico o erotico, e poi ci si straccia le vesti per le amichette di Sangiuliano? Io me li ricordo poi, sempre in Rai, certi entusiasti grillini heavy metall, guai a chi nominasse invano l’Elevato e i suoi sottocomici da Parlamento, stagione effimera ma predatoria come nessuna, quelli della decrescita felice, e come dimenticare ancora il sostegno del piddino Dario Franceschini ai disastrosi trastulli amatoriali targati Elkann, Ginevra Elkann? Tre milioni di euro finiti nel cesso, nessun risultato, nessun incasso. Ma le pellicole della rampolla della Real Casa erano giusto la punta di un iceberg mastodontico che da decenni brucia milioni di euro per pippe e pipponi a interno giorno e notte, la post depressione da famiglia problematica cioè mignottara dei Parioli dove i giovani si sballano coi vapori di frigorifero e mami e papi sono perennemente indecisi, e dunque dopati di psicanalisi, per capire quale mammasantissima di partito votare fra un tradimento problematico e l’altro.
Cazzate miserabili spacciate per opere che nessuno guardava e adesso vedere i profeti del familismo rosso rotolarsi in terra ai colpi di coda di Sangiuliano, all’ultimo carosello di nomine, alle dentiste che si affacciano e rinunciano, è solo la squallida conferma di una contraddizione: così fan tutti, il Pd maledice ciò che pratica da sempre e lo pratica nel modo genetico di chi neanche se ne accorge, in modo non diverso da un coccodrillo che fa un solo boccone di una zebra. I compagni coccodrilli si sdegnano davanti all’assalto alla diligenza che per il momento li vede solo assistere, ma si direbbe più per una faccenda di stile, di metodo: oh, andiamo, non è così che funziona, ma quanto siete volgari nel vostro sedervi a tavola e perfino quando vi alzate, ma un po’ di eleganza, mai?
La destra tradisce problemi enormi e non solo di metodo, di stile, seppure anche di stile: non l’ha mai avuto, neppure nel servilismo, sbracato, credetemi, sfondato, e lo stile è come il coraggio di don Abbondio; la sinistra in compenso scodella l’ennesima buffonata della candidatura, autocandidatura, discesa in campo, non si è capito, del compagno Scurati, esperto in antifà, che da sei mesi rompe le balle per qualcosa che si era subito capito, “mi metto a disposizione”, salvo subito rinnegarsi con la solita letterina a Repubblica, zeppa di precisazioni che non smentiscono ma precisano, appunto, un disegno concepito per tempo. E se o’ Scurati nega di candidarsi alle prossime amministrative venete, è segno che è già deciso, esattamente come per Lucia Annunziata. Solo che est modus in pappatoriam. A destra, Sangiuliano piange pateticamente al telegiornale, a sinistra non vedrete mai nessuno piangere. Se non dopo il lauto pasto, esattamente come i coccodrilli, rossi coccodrilli mai sazi di prosopopea.
Max Del Papa, 9 settembre 2024
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