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Caso Sea Watch, la fatwa dell’Anpi contro Gervasoni - Seconda parte

Non credo sia necessario conoscere il curriculum di Gervasoni per rendersi conto della sua preparazione, basterebbe leggere un qualsiasi suo libro o articolo ma la stessa attenzione dell’Anpi a indignarsi, chiedere dimissioni o licenziamenti, non viene dedicata a leggere e conoscere la produzione editoriale dei conservatori. Ci chiediamo cosa sarebbe accaduto se Gervasoni non fosse un professore ordinario ma un ricercatore o un associato? Per il semplice fatto di aver espresso un’opinione personale non allineata, ne avrebbe risentito la sua carriera accademica nell’ambito di una visione dell’università basata sul concetto di egemonia culturale della sinistra teorizzato da Gramsci che, come scrive lo stesso Gervasoni, sembra “avere come modello di libertà l’Urss”.

Arriviamo così alla richiesta di provvedimenti contro Gervasoni: “comportamenti così gravi, soprattutto per i possibili effetti negativi sugli studenti dal punto di vista umano e didattico, siano adeguatamente valutati dall’Università”. Nelle Università italiane martoriate da occupazioni abusive, scandali sui concorsi e le nomine, strutture carenti e insufficienti, qualità della didattica sempre più bassa, il post di Gervasoni di certo non avrà nessun effetto dal punto di vista umano (!?) e didattico sugli studenti mentre da ormai molti anni le conseguenze di atteggiamenti censori sono devastanti per la libertà di pensiero di professori e studenti nelle università che alcuni non vorrebbero come un luogo di confronto, dialogo e scambio di opinioni ma di indottrinamento al pensiero unico.

Francesco Giubilei, 1° luglio 2019

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