Ci risiamo. Per l’ennesima volta scatta la censura rossa nei confronti di pensatori, giornalisti, professori, uomini di cultura non allineati al pensiero progressista, questa volta a farne le spese è Marco Gervasoni, professore di Storia contemporanea all’Università degli Studi del Molise, editorialista de Il Messaggero e volto noto del mondo conservatore italiano.
Il gravissimo crimine di cui si è macchiato Gervasoni è aver espresso sul suo profilo Facebook una personale opinione sul caso Sea Watch scrivendo: “Ha ragione Giorgia Meloni la nave va affondata” per poi aggiungere provocatoriamente “quindi Sea watch bum bum, a meno che non si trovi un mezzo meno rumoroso”.
Il post non è passato inosservato e ha suscitato la reazione di Loreto Tizzani, presidente dell’Anpi Molise, che ha definito le parole di Gervasoni indicative “di una visione del mondo e dei diritti umani a dir poco sconcertante” per poi aggiungere “ciò che li rende assolutamente vergognosi è il fatto che ad usarli sia un docente universitario, e per di più un docente di storia: la categoria cioè di coloro che avrebbero l’alto compito di educare le giovani generazioni instillando in loro conoscenza, competenza, etica. Senza dimenticare il rigore di analisi e di acquisizione di dati che dovrebbe costituire il necessario bagaglio operativo di chi si avvicini allo studio della storia”.
L’attacco dell’Anpi nei confronti di Gervasoni è grave per due motivi: anzitutto perché vuole colpire le legittime opinioni personali di un professore espresse al di fuori del contesto universitario, in secondo luogo perché, se a esprimere opinioni politiche è un docente con idee progressiste (cosa che avviene quotidianamente), è considerato non solo giusto ma anche doveroso, se a farlo è un conservatore scatta la censura.
Gervasoni non ha manifestato il suo pensiero sul caso Sea Watch all’interno di un’aula universitaria, in quel caso sarebbe stato giusto intervenire (anche se quando la politica viene portata nelle aule universitarie dai professori di sinistra nessuno dice nulla) ma lo ha fatto sui propri social network esprimendo un’opinone che si può non condividere, si può definire sopra le righe, ma rientra nell’ambito della normale dialettica democratica. Un “affronto” ritenuto sufficiente per mettere in discussione le sue capacità didattiche: “ci si chiede dunque cosa e come potrà insegnare ai propri studenti”.
Non credo sia necessario conoscere il curriculum di Gervasoni per rendersi conto della sua preparazione, basterebbe leggere un qualsiasi suo libro o articolo ma la stessa attenzione dell’Anpi a indignarsi, chiedere dimissioni o licenziamenti, non viene dedicata a leggere e conoscere la produzione editoriale dei conservatori. Ci chiediamo cosa sarebbe accaduto se Gervasoni non fosse un professore ordinario ma un ricercatore o un associato? Per il semplice fatto di aver espresso un’opinione personale non allineata, ne avrebbe risentito la sua carriera accademica nell’ambito di una visione dell’università basata sul concetto di egemonia culturale della sinistra teorizzato da Gramsci che, come scrive lo stesso Gervasoni, sembra “avere come modello di libertà l’Urss”.
Arriviamo così alla richiesta di provvedimenti contro Gervasoni: “comportamenti così gravi, soprattutto per i possibili effetti negativi sugli studenti dal punto di vista umano e didattico, siano adeguatamente valutati dall’Università”. Nelle Università italiane martoriate da occupazioni abusive, scandali sui concorsi e le nomine, strutture carenti e insufficienti, qualità della didattica sempre più bassa, il post di Gervasoni di certo non avrà nessun effetto dal punto di vista umano (!?) e didattico sugli studenti mentre da ormai molti anni le conseguenze di atteggiamenti censori sono devastanti per la libertà di pensiero di professori e studenti nelle università che alcuni non vorrebbero come un luogo di confronto, dialogo e scambio di opinioni ma di indottrinamento al pensiero unico.
Francesco Giubilei, 1° luglio 2019