Caso Sinner, occhio al linciaggio mediatico

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Dall’Osannah al crucifige il passo è breve, si sa. Senza scomodare troppo il Vangelo, ce lo insegna la storia: dall’ altar alla polve, per dirla con Manzoni nei riguardi di un uomo, Napoleone, che di trionfi e di cadute era assai esperto. Un miliardesimo di grammo è la storia del doping di Jannik Sinner, numero uno del tennis mondiale. E si sono susseguite congetture, ipotesi, secondo un copione già scritto e più volte andato sulle scene. Ovviamente nessuna critica nei confronti dei giornalisti, del diritto di cronaca, della libertà di parola, diritti che le moderne democrazie hanno conquistato e devono ben custodire per non correre il rischio della dittatura.

Il monopolio e la tirannia, infatti, vanno rifiutati, sempre: eppure, da convinta sostenitrice della libertà di scelta educativa e di ogni libertà, purché fondata sulla responsabilità nei confronti dell’altro, il diritto di cronaca non può scadere nel linciaggio mediatico. Ormai ci siamo come assuefatti ad una prassi diffusa: basta un avviso di garanzia per essere condannati, bando alla presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio: si tratta di un ricordo del diritto del passato, purtroppo. Il caso di Enzo Tortora, evidentemente, non è servito a nulla. Inutile, ormai, evocarne le tristi vicende, visto che a nulla è servito. Cui prodest?

Il pomeriggio del 20 agosto abbiamo tutti capito cosa è successo a Sinner: una contaminazione accidentale e non volontaria. Conseguenza? La condanna già emessa è stata revocata e le lodi del giovane tennista hanno nuovamente riempito le pagine dei giornali. È una dinamica logica e seria questa? Non sono un’esperta di sport, eppure la vicenda mi ha colpita a livello umano, soprattutto per la grande responsabilità che avverto nei confronti delle nuove generazioni.

Quello che è accaduto a Sinner è accaduto a centinaia di persone e può accadere a ciascuno di noi: è doveroso parlarne per raccontare un fenomeno che, sicuramente, non può essere eliminato ma almeno condannato. Sinner, il numero uno, il ragazzo per bene, il figlio che tutti vorrebbero avere, l’atleta disciplinato, orgoglio italiano, poi il dopato, quello da condannare senza se e senza ma. Ripeto la stessa domanda: è una dinamica logica e seria questa? La ricerca dello scheletro nell’armadio a tutti i costi. Perché? Si tratta di un modo di fare che ha conseguenze tragiche per i nostri giovani, perché tutti i modelli positivi. Sinner e Totò Riina vengono posti sullo stesso piatto. È così. Ognuno di noi ha bisogno di modelli positivi per volare alto e dare il meglio per la società. Se questi modelli positivi vengono posti sotto accusa, non ci si impegna più e siamo tutti più sbagliati e quindi tutti più assolti. Forse non ci si impegna più perché non ne vale la pena ma anche perché si ha paura.

A voi, carissimi giovani, consiglio di essere voi stessi, di vivere fino in fondo, di studiare, di avere gli strumenti per orientarvi: impegnatevi e quando vi osanneranno, ringraziate ma non attaccate il cuore e la stima di voi stessi a questi giudizi, perché, quando vi demoliranno, voi continuerete a essere fedeli a voi stessi e la verità emergerà. Sinner come Tortora, Borsellino, Falcone, Padre Pio, Aldo Moro e tanti altri: veri numero uno perché sono liberi in quanto “fedeli e a se stessi, in campo per scelta a prescindere dai plausi e dagli attacchi”.

Abbiamo davvero bisogno di una stampa libera ma che, proprio in nome di questa libertà, non demolisca le vite delle persone ma che ricordi che le persone sono sacre e valgono più di una copia venduta. Invito tutti coloro che lavorano nella stampa e nella comunicazione a svolgere il loro lavoro in modo coerente con il fine del lavoro stesso che hanno scelto, ossia quello di informare i cittadini in modo onesto e imparziale. La stampa e il mondo della comunicazione possono davvero fare la differenza e determinare le scelte dei cittadini. La posta in gioco è davvero alta: occorre un grande senso di responsabilità.

Suor Anna Monia Alfieri, 25 agosto 2024

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