Il deputato con gli stivali (e famiglia)

Caso Soumahoro, uno schifo oltre l’indecenza

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soumahoro migranti

Beh, che facciamo? Adesso che le hanno arrestate, sia pure in forma domiciliare, mama Africa e lady Gucci, suocera e compagna del compagno stivali, Abou Soumahoro, che facciamo? Ci ridiamo su carognescamente, ci abbandoniamo all’ironia più amara, diciamo che era ora, che queste due con le loro falsità, la loro arroganza, finalmente stanno dove devono stare, anzi nemmeno, comunque ricevono un trattamento privilegiato, o restiamo garantisti, alla finestra, aspettando gli eventi?

Gli eventi sono schiaccianti, accuse come macigni per una vicenda oltre la vergogna: quello che nessuno, in questa storia, sembra aver mai provato, né il clan Soumahoro al completo né, tanto meno, il deputato sparafucile, per finire coi suoi burattinai, i suoi demiurghi, da Fratoianni e Bonelli, da Damilano e Zoro. Tutti a far finta di niente e se mai a fare le vittime – loro, perché non c’è limite all’impudenza comunista – a fronte di una storia indecente, di sfruttamento da africani su africani, di una organizzazione che, grazie alla politica delle elargizioni facili e dei controlli ballerini, ossia dell’omertà condivisa, avrebbe razzolato più di 60 milioni in una dozzina d’anni per tenere i migranti, gli stessi per i quali sostenevano di battersi, peggio delle bestie allo zoo.

Gli eventi, dopo sei mesi di indagini della procura di Latina, costellate di evidenze, riscontri, mezze ammissioni dalle istituzioni a vario titolo coinvolte, ed erano tante, di politici dissociati, parlano di ipotesi quali frode nelle pubbliche forniture, bancarotta fraudolenta, evasione, autoriciclaggio, oltre a maltrattamenti sugli ospiti, per lo più in forma abusiva, al punto, rilevarono la Prefettura di Latina insieme ai Vigili del Fuoco, di raggiungere condizioni “offensive dei diritti e della dignità degli uomini e delle donne, aggravate dalla condizione di particolare vulnerabilità dei richiedenti protezione internazionale”. Uno schifo, oltre l’indecenza.

Eppure, siamo costretti a restare garantisti. Non, si badi bene, di quel malinteso garantismo all’italiana, di sinistra, che si esalta esclusivamente e puntualmente in favore di delinquenti e mascalzoni, “nessuno tocchi Caino”. O per la comoda viltà di non prendere posizione, di restare alla finestra, se la sbrigassero le istituzioni, “la magistratura farà il suo corso”. No, qui è proprio questione di scelta obbligata, indotta da una sfiducia, o almeno un potenziale scetticismo, chiamiamolo cautela preventiva, verso la magistratura. Che è imprevedibile, può travolgere uno sotto valanghe di prove mastodontiche, può schiacciarlo, polverizzarlo, può chiedere e perfino ottenere pene infinite salvo poi salvarlo in un grado successivo. E a tutti pare normale. Come se fosse normale una magistratura che chiede 80 anni di galera e un’altra che serenamente assolve, come se una delle due non fosse o corrotta o clamorosamente somara.

Qui sta il dramma tutto italiano, che “bisogna” restare garantisti perché troppe volte abbiamo visto due forme distinte, ma connesse, di scandalo: gli innocenti distrutti, rinchiusi magari per anni, per decenni, prima che giustizia fosse fatta; e, viceversa, i farabutti “riabilitati” per effetto di sentenze politiche, ideologiche, convenienti o ispirate alla più sconcia realpolitik.

Vale il ribaltamento del teorema pasoliniano: io so, io ho pure le prove, ma non posso trarne nessuna conclusione. Se solo pensiamo a cosa è stata capace di fare la magistratura nel caso del militare Stefano Paternò: constatarne la morte, attribuita senza margine di dubbio al vaccino (sono conclusioni squisitamente giudiziarie, non sillogismi o illazioni, riportate in sentenza), e conseguente assoluzione di tutti i soggetti coinvolti. La nostra imprevedibile, effervescente magistratura, inoltre, è la stessa che un potente non lo manda mai a fondo, però può metterlo fuori causa se si allarga troppo: l’ineffabile Mimmo Lucano aveva instaurato una sorta di minuscolo feudo o regno personale a Riace, si era esaltato, puntava allo sbarco in grande stile in politica: lo hanno preso, rivoltato, accusato della qualunque, gli hanno dato 13 anni in primo grado e poi, incredibilmente, assolto in modo pressoché totale in appello. Riabilitato ma neutralizzato. Così regola le cose il Pd, che comunque la sua matrice, la sua tradizione stalinista non la perde mai perché fa parte del suo corredo genetico.

Adesso, tornando al caso Soumahoro, uno non sa cosa pensare, o meglio cosa pensare lo sa, è inevitabile: il caso tipico di malavita applicata al “sociale”, i neri come carne da macello, i disgraziati a dormire sulle scale, i benefattori a fare il giro delle boutique di via Condotti, a razzolare premi e riconoscimenti dalla Boldrini, a farsi scrivere addosso dal compagno Saviano. Ma poi, che succede? Fino a quando reggerà questa ipotesi accusatoria? Oggi mama Africa e lady Gucci stanno ai domiciliari, insieme a un altro figlio della santona, quella che apparentemente dirigeva l’ambaradan; il compagno Abou, che già aveva scaricato entrambe, catafratto com’è ad ogni imbarazzo ha mollato i vecchi sodali e si è intruppato nel gruppo misto, dove continua a percepire lo stipendio da parlamentare, il che va oltre il grottesco, non rinunciando a millantarsi per la causa degli ultimi: dove c’è un’occasione di demagogia, questo influencer dei nostri stivali si fionda.

Ma che gli vuoi dire? Personalmente Soumahoro non è mai neppure stato sfiorato dalle indagini. Tutto il clan, a prescindere, appare come insopportabile, le loro balle, le giustificazioni di comodo, il vittimismo etnico, sono roba che offende l’intelligenza prima ancora che la decenza. Eppure non possiamo andare oltre questo. Non possiamo dire che se lo meritano. Non possiamo considerarli colpevoli. Non possiamo confidare nell’evidenza delle bancarotte, degli ammanchi, dei reinvestimenti africani ed europei, dei sopralluoghi di polizia e di qualche deputata sconcertata, delle testimonianze dei truffati, tutti incazzati (e) neri. L’apparente evidenza non ci basta. Dobbiamo solo aspettare come minimo tre gradi di giudizio. Augurandoci, e questo è davvero paradossale, che la giustizia sia effettivamente la stessa per tutti e non faccia sconti in base al colore. Politico e della pelle.

Max Del Papa, 30 ottobre 2023

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