Caso Toti, Davigo senza vergogna

L’ex magistrato non risparmia il governatore della Liguria: “Solo in uno stato canaglia questa non è corruzione”

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Toti Davigo

Ritorna lo spettro di Tangentopoli, che distrusse la prima Repubblica e fece la fortuna di molti personaggi più o meno oscuri, e ovviamente il Fatto Quotidiano, uno dei giornali più forcaioli del Paese, chiama in causa un mammasantissima del famoso e, per molti, famigerato pool di Mani pulite: l’ex magistrato Piercamillo Davigo. Oggetto di una lunga intervista rilasciata a Gianni Barbacetto, magnifico clone giustizialista di Marco Travaglio, il nostro ha espresso la suo opinione sulla vicenda giudiziaria che vede coinvolto il presidente della Liguria, Giovanni Toti.

Già il titolo dell’articolo la dice lunga sul suo contenuto: “Corruzione in Liguria, Davigo: ‘Solo in uno stato canaglia questa non è corruzione‘”. Il riferimento è ovviamente alla tesi della difesa, secondo cui le somme ricevute, oggetto dell’inchiesta, sarebbero state tutte rendicontate, pubblicate online e utilizzate esclusivamente per la campagna elettorale. D’altro canto, occorre ricordare che nel 2017, quando Davigo era al vertice dell’Associazione nazionale magistrati, egli fece il giro delle sette chiese televisive spiegando agli italiani che in pratica eravamo un po’ tutti colpevoli di qualcosa, anche se in molti casi il reato non era stato scoperto.

Quindi secondo questa particolare corrente di pensiero, in cui si fa una certa fatica a distinguere il reato dal peccato, chiunque finisca sotto la lente di un magistrato inquirente dovrebbe essere sempre trattato come le vittime di un famoso proverbio cinese: “quando torni a casa, picchia moglie e figli: tu non conosci il motivo, ma loro lo sanno bene.” Tanto è vero che lo stesso Davigo ha fatto da cavia, dimostrando sulla sua pelle la giustezza del teorema secondo cui chi è senza colpe scagli la prima pietra, visto che nel 2023 è stato condannato dal Tribunale di Brescia ad un anno e 3 mesi di reclusione per il reato di rivelazione di segreti d’ufficio. Pertanto, il buon Barbacetto avrebbe dovuto definirne la qualifica di pregiudicato, così come il suo direttore ha sempre fatto nei riguardi di tutti quei politici, a lui non graditi, che avessero ricevuto anche una lieve condanna.

Per il resto Davigo ha ribadito tra le righe la sua avversione per qualsiasi tentativo di riformare la giustizia, lamentandosi delle sacrosante restrizioni che si sta cercando di introdurre nell’uso disinvolto che si è sempre fatto delle intercettazioni. Infine, egli ha ribadito un antico pallino della cultura giustizialista: il cosiddetto agente provocatore da sguinzagliare in ogni ambito dei rapporti tra pubblico e privato. Il tutto sostenuto da un principio basato sulla presunzione di colpevolezza, molto in voga proprio durante l’epopea di Tangentopoli, che ribalta completamente il fondamento di un moderno stato di diritto.

Significativo, a tale proposito, il post pubblicato su X da Gaia Tortora a commento dell’intervento di Davigo, in riferimento all’inchiesta ligure: “Mi era sfuggita la conclusione del processo e la sentenza emessa. Meno male che lui ci arriva sempre prima di tutti. Così si che si velocizzano i tempi della giustizia!”

Claudio Romiti, 17 maggio 2024

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