Politica

Caso Toti, i magistrati vogliono comandare anche le Regioni

Nel caso ligure i giudici dovrebbero valutare la presunta interferenza tra un organo dello Stato e un suo ente

Giovanni Toti giustizia © erenmotiontramite Canva.com

Fuoco e fiamme sotto la Lanterna. Sul caso Giovanni Toti la Regione Liguria sta valutando di rivolgersi alla Corte Costituzionale per un conflitto di attribuzione così da mettere la parola fine all’ennesimo clamoroso contrasto «politica-magistratura», quasi sempre a destra. Il conflitto di attribuzione è basato sull’assunto che l’organo che esercita la funzione giurisdizionale dello Stato stia compromettendo le funzionalità e le guarentigie del governo regionale ligure e del suo presidente eletto liberamente e direttamente dai cittadini.

Il mantenimento della misura dell’arresto cautelare di Toti, presumibilmente per ottenerne le dimissioni, è indubbio che sta provocando ricadute e condizionamenti anche sulle attività della Giunta, impedendole di esplicare appieno il mandato ricevuto dagli elettori liguri. Una situazione che dura dal 7 maggio scorso – in piena realizzazione degli interventi del Pnrr oltre che del Pnc (Piano Nazionale Complementare) parliamo di quasi otto miliardi di euro – e che la Procura di Genova e il Gip giustificano con il pericolo che il governatore possa reiterare il reato di cui è accusato. La disparità tra le cariche elettive regionali o locali e quelle nazionali, che non possono essere oggetto di misure interdittive se non previa autorizzazione della Camera di appartenenza, è lampante. La tutela delle cariche elettive centrali dello Stato esiste per salvaguardare la separazione dei poteri e magari pure per non far rivoltare nella tomba Montesquieu.

C’è da chiedersi se qualche guarentigia necessiterebbe altresì per le cariche operanti a livello regionale e locale. Nel caso ligure la Corte Costituzionale dovrebbe valutare se vi sia stata interferenza di un organo dello Stato – la magistratura – sul regolare svolgimento delle funzioni di un ente territoriale autonomo di rilievo costituzionale quale è, appunto, una regione. Tra l’altro, i tempi per Toti si allungano ulteriormente perché l’udienza del Tribunale del riesame è fissata per l’8 luglio e di certo per conoscerne l’esito bisognerà attendere. In caso di reiezione gli avvocati di Toti hanno già annunciato di voler ricorrere per Cassazione e il giudizio non arriverebbe prima della fine di settembre. Cosa succederebbe se nel frattempo in Liguria si verificasse un altro evento catastrofico simile alla tragedia del ponte Morandi quando decisioni immediate sono vitali?

La vicenda sta creando un pericoloso precedente che, in tempi di autonomia differenziata, mina l’autonomia di una regione nei confronti dello Stato, con il rischio di effetti «a catena» sull’attività di tutte le regioni. Il ricorso al conflitto di attribuzione fra Stato e regione dinanzi alla Corte Costituzionale – come previsto dall’articolo 134 Cost. – sembra attualmente l’unico strumento idoneo a paralizzare l’iniziativa di un giudice che, prima ancora di una sentenza definitiva, riesca a indurre alle dimissioni chi ricopra una carica politica. Nei giorni scorsi, i magistrati hanno concesso al governatore Toti di incontrare tre assessori della sua Giunta e presto gli sarà possibile vedere anche alcuni esponenti dei partiti che sostengono la sua maggioranza.

Non risulta che questi incontri siano verbalizzati da un maresciallo della Guardia di Finanza e di sicuro rientrano nell’attività tipica di un presidente di regione. E, allora, perché non può tornare a fare il suo lavoro nelle sedi istituzionali? Toti a parte, la giustizia resta uno dei principali terreni di scontro della vita politica italiana. Il governo di Giorgia Meloni ha deciso di affrontare una parte del problema con il decreto carceri firmato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, ma la maggioranza è divisa e né gli ultimi fatti di cronaca accaduti a Roma nel carcere di Regina Coeli, né i numeri drammatici – al 31 maggio le persone detenute nei 189 istituti penitenziari italiani sono più di 61mila a fronte di una capienza di circa 51mila posti e i suicidi in carcere dall’inizio dell’anno sono oltre 45 – riescono a fare il miracolo.

Chiesto più volte anche da Papa Francesco che nel corso del suo pontificato ha visitato 15 istituti di detenzione, l’ultimo a Verona, il mese scorso. Eppure, la premier e Nordio, senza lasciarsi inutilmente logorare, potrebbero fare come in Spagna dove, con coraggio, gli iberici hanno copiato la nostra legge del 75 sull’ordinamento carcerario che regola la vita dei detenuti e, a differenza nostra, l’hanno applicata. Morale: da noi la legge c’è, ma non viene applicata, mentre a Madrid «detto fatto». Gli spagnoli hanno proceduto in modo pragmatico e, per riuscirci, hanno ragionato su un nuovo modello di organizzazione, di personale e di edilizia penitenziaria. Hanno rivoluzionato il vecchio sistema siglando tra tutte le forze politiche un patto sull’esecuzione della riforma, ovvero un progetto condiviso portato avanti a prescindere dai governi o dalle maggioranze che si susseguiranno. «Un patto sull’esecuzione della pena» che, ad oggi, fa scuola.

Riccardo Arena, straordinario animatore della storica rubrica Radio Carcere, ricorda che sull’edilizia carceraria gli iberici hanno dismesso la maggior parte delle vecchie prigioni sostituendole con sicure strutture modulari prefabbricate. Delle patrie galere situate nei centri delle città ne hanno fatto alberghi, residence ed uffici. Cosa che si potrebbe fare anche da noi con Regina Coeli, San Vittore, Ucciardone, Poggioreale, Sollicciano etc etc. Quanto all’organizzazione della vita detentiva, i detenuti sono divisi in gruppi omogenei – non come in Italia – e ognuno deve condividere un programma di trattamento che prevede lavoro, studio, colloqui ecc… Se non si osservano le regole, si regredisce in strutture più severe.

Tradotto: da loro è vietato passare le giornate in cella, da noi invece è vietato uscire dalla cella! A volte anche da innocenti. Il ministro Carlo Nordio, che con Guido Crosetto è l’unico vero liberale di questo governo, batta un colpo e metta fine allo scandalo delle carceri italiane più volte sanzionata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Luigi Bisignani, 30 giugno 2024

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