Cose che capitano tra i vivi e che da sempre hanno caratterizzato il conflitto politico e ideologico, si dirà. D’accordo, mi si consenta però, per ostinato attaccamento al mestiere che ho fatto per anni -quello di docente di Storia delle dottrine politiche – di rilevare che il richiamo ai grandi temi del liberalismo storico – dalla tocquevilliana ‘tirannia della maggioranza alla montesquiviana “divisione dei poteri” – sta da tempo diventando per la cultura di sinistra, il cavalli di Troia che nasconde nel ventre stili di pensiero (giacobini, azionistici, postcomunisti, cattocomunisti) che con i Locke, i Montesquieu, i Constant hanno poco a che vedere.
Nel caso di Cassese, è legittimo invocare Lo Spirito delle leggi contro un ministro che ricorda ai magistrati essere loro compito quello di applicare le leggi, non di farle, né di porre veti (giustificati solo dalla violazione delle norme costituzionali)? A ragione o a torto, Montesquieu – come ci hanno ricordato gli studi di Domenico Fisichella, di Giuseppe Bedeschi e di altri – temeva così tanto la casta dei magistrati da teorizzare una funzione giudiziaria attribuita non «a un senato permanente» (oggi parleremmo di ‘ordine giudiziario’) ma a «persone scelte fra il popolo, in determinati periodi dell’anno, secondo la maniera prescritta dalla legge, per formare un tribunale il quale rimanga in vita soltanto per il periodo che la necessità richiede». In questa maniera si sarebbe temuta «la magistratura, non i magistrati».
Una proposta, è superfluo rilevare, oggi inaccettabile ma valeva la pena di ricordarla giacché, per Montesquieu, come del resto per i classici del liberalismo, il potere va contenuto e tenuto a freno «da qualsiasi parte provenga» e non ci sono corpi privilegiati che incarnino, per loro natura, il bene superiore della nazione. E tanto meno c’è da supporre che quelli che nessuno ha eletto siano super partes.
Dino Cofrancesco