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Catasto, l’allarme sulla prima casa: “Tornerà l’Imu”

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Pubblichiamo un documento sulla riforma del catasto realizzato da Lettera 150, un’associazione tra 150 professori universitari. Ecco quali sono i rischi che corrono i proprietari di casa.

1. Il 94% dei proprietari di immobili ha un reddito compreso tra 0–55 mila euro. Circa il 23% ha un reddito non superiore a 10.000 euro; quasi il 45% ha un reddito compreso tra 10–26 mila; il 26% si colloca nella fascia 26–55 mila. Solo il 6% dei contribuenti proprietari immobiliari ha un reddito superiore a 55 mila euro.

2. Qualsiasi intervento sul catasto affidato al Governo richiede innanzitutto criteri direttivi precisi e trasparenti. Diversamente il rischio è di creare un sistema privo di bilanciamento dei poteri, nel quale l’Agenzia delle Entrate è, a un tempo, legislatore, giudice e gabelliere. Occorre poi sempre un confronto con la categoria dei proprietari immobiliari. Tutto questo non si è fatto e quindi qualsiasi eventuale riforma sarebbe inaccettabile.

3. La Commissione Europea ha mandato (prima della pandemia) due inviti al Governo italiano: 1. aggiornare gli estimi catastali, precisando espressamente che ciò serve a reperire risorse e quindi ad aumentare la tassazione sugli immobili;  2. reintrodurre l’Imu sulla prima casa. Il mandato è innanzitutto di tassare di più la casa. Se riesce questo obiettivo, l’altro seguirà a ruota: incombe dunque l’Imu anche sulle prime case.

4. Il Governo obietta che la riforma ha solo lo scopo di fare una fotografia dell’esistente con riferimento ai valori patrimoniali e reddituali di mercato. Ciò suscita seri dubbi, soprattutto perché i valori catastali hanno la funzione di comparare tra di loro immobili diversi, situati in zone diverse del Paese, valutandoli con parametri uguali, e non di intercettare valori di mercato per ciò stesso sempre mutevoli e incerti. Perché dunque inserirli nel catasto? Non solo, se così fosse l’operazione violerebbe la riservatezza dei proprietari sciorinando in pubblico l’ammontare del loro patrimonio, che costituisce dato personale sensibile, e sottoponendoli al rischio di ricatti, rapine etc. Inoltre questa riforma è molto costosa: non avrebbe senso realizzarla solo per dare una informazione ai cittadini sui valori patrimoniali e reddituali del mercato già oggi rilevati e gratuitamente resi pubblici dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare. Il riclassamento è quindi chiaramente preordinato all’aumento della imposta. I dubbi sulle reali intenzioni del Governo sono fondati, sia per la equivocità di alcuni passaggi della delega fiscale, sia, soprattutto, perché la raccomandazione dell’Unione Europea di rivedere gli estimi si accompagna espressamente con la richiesta di aumentare la tassazione sugli immobili.

5. L’UE non ha competenza in materia di politiche fiscali interne, affermare: “lo chiede l’Europa” dimostra sudditanza di una certa classe politica verso i diktat della burocrazia di Bruxelles, che rappresenta interessi che non sono quelli dei risparmiatori italiani.

6. L’imposizione fiscale sugli immobili è in Italia già oggi superiore alla media dei Paesi Ocse: 6.1% contro una media Ocse del 5.5%. È quasi il triplo di altri Paesi europei come Svezia (2.2%) e Germania (2.7%). L’imposizione complessiva è in Italia del 42.3% contro una media dei Paesi Ocse pari al 35.5%.

7. L’investimento in beni immobili è attualmente più tassato degli equivalenti investimenti in beni mobili: un appartamento a Milano di 100 mq., con un valore di mercato stimato dalla Agenzia delle Entrate di 391.800 euro, un valore catastale attuale di 142.900 euro, paga di Imu 1629 euro. Investendo 391.800 euro con un investimento mobiliare in un deposito regolamentato, si paga di imposta di bollo soltanto 784 euro, la casa paga dunque il 108% in più. A Roma va ancora peggio con una differenza del 264%, a Napoli la differenza è di 154%, a Bari del 299%, a Firenze del 142%, a Genova del 255%.

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