14. In questo contesto un eventuale aumento della imposizione sulla casa determinerebbe un disinvestimento nel mattone che oggi genera per famiglia una spesa media di 20.000 euro di ristrutturazioni e di 5000 euro di investimenti medi specifici. Ciò comporterebbe una penalizzazione delle piccole imprese artigiane che costituiscono il 68% dei fornitori di servizi di manutenzioni e ristrutturazione. Analoga penalizzazione subirebbero le imprese del commercio e dell’industria che trattano prodotti legati alla casa. Ci sarebbe anche una penalizzazione del decoro del nostro patrimonio immobiliare posto che diminuirebbero drasticamente restauri e manutenzioni secondo una tendenza già oggi in atto: stando infatti ai dati dell’Agenzia delle Entrate, gli immobili ridotti alla condizione di ruderi sono aumentati del 107% dal 2011. Ancora più preoccupante è dunque l’intenzione, dichiarata dal Ministro dell’Economia, di rivedere al ribasso entro pochi anni i bonus fiscali previsti per i vari interventi di miglioramento energetico, sismico ed edilizio.
15. Il catasto italiano è tradizionalmente un catasto reddituale che solo con i decreti del 1990/91 è stato surrettiziamente trasformato in patrimoniale attraverso un sistema di moltiplicatori che la Corte costituzionale nel 1994 ha sostanzialmente considerato illegittimo e sul quale tuttavia si sono fondate prima l’ICI e poi l’IMU. L’ICI non colpisce il reddito prodotto, ma il patrimonio posseduto. Si ha così il paradosso di un immobile sfitto che non produce reddito per il suo proprietario ma che essendo di pregio paga cifre elevate, senza che il proprietario abbia necessariamente una adeguata capacità contributiva. Ciò viola l’art. 53 della Costituzione.
16. Non è vero che una riforma degli estimi catastali è necessaria per ragioni di equità, per trasformare cioè in signorile “l’attico di piazza Navona” accatastato come popolare: con la legge 311/2004 si era già prevista la possibilità dei Comuni di collaborare con la Agenzia del Territorio per rivedere il classamento degli immobili. Le amministrazioni delle principali città italiane hanno già provveduto: a Milano a ben 30.000 immobili è stata attribuita una nuova rendita catastale, con un aumento medio del 46% e un incremento complessivo della rendita di circa 44 milioni di euro. Nel triennio 2005-2007 il comune di Genova ha inviato 80.000 avvisi bonari ai proprietari di immobili considerati da regolarizzare. Il Comune di Roma nello stesso periodo ha ridotto di 20.000 unità gli immobili di categoria popolare, incrementando di 30.000 unità le abitazioni di categoria civile. Nella sola città di Roma vi è stato un aumento della rendita catastale per 123 milioni di euro.
La prima operazione di riclassamento si è conclusa nel 2015 interessando più di 418.118 immobili, un aumento della rendita catastale di 363 milioni di euro, e un valore imponibile di ben 61 miliardi di euro (applicando il coefficiente 160). Nelle grandi città è stato coinvolto in media il 40% del patrimonio immobiliare privato. Le norme sono ancora in vigore e permettono ai comuni di sanare le posizioni sfuggite o determinatesi dopo il 2015.
17. Non è vero che una riforma degli estimi catastali serve per evitare che alcuni immobili sfuggano al catasto: se si decide di “rivedere” le rendite, significa che le rendite erano già state in precedenza “viste”, si tratta dunque di immobili già ben noti al fisco. Per contrastare l’evasione si utilizzino droni e satelliti altrimenti, dopo gli aumenti degli estimi, le case ignote al fisco continueranno a rimanere tali.
18. Un aumento significativo della imposizione sui patrimoni, causata da una rivalutazione delle rendite equiparate a valori di mercato, sarebbe incostituzionale perché violerebbe l’art. 47, comma 1 della Costituzione che incoraggia e tutela il risparmio. L’aumento della imposizione non solo deprezzerebbe per sé gli immobili, spingerebbe inoltre alla loro alienazione, determinando così una ulteriore svalutazione del patrimonio nazionale, ovvero della massa di risparmio investita negli immobili. Violerebbe altresì il comma 2 del medesimo articolo ove si protegge specificatamente il risparmio per l’acquisto dell’abitazione. Sarebbe iniquo perché, come già chiariva Einaudi, si tasserebbe due volte posto che si colpisce il risparmio che era già stato tassato al momento della sua produzione. Sarebbe iniquo perché prescinderebbe dalla capacità contributiva. Sarebbe altresì iniquo perché tartasserebbe specificamente i proprietari già penalizzati dal blocco degli sfratti in un momento di crisi che ha toccato tutte le famiglie. Sarebbe inoltre iniquo perché inciderebbe sul reddito Isee pur non essendo indice di reddito disponibile, facendo perdere a molte famiglie l’accesso gratuito agli asili nido, alle prestazioni sanitarie, all’università. Sarebbe infine iniquo perché colpirebbe le successioni penalizzando ancora una volta eredi che non abbiano un reddito sufficiente per pagare imposte cospicue, venendo costretti a svendere, magari a grandi fondi di investimento internazionali, gli immobili ereditati.
19. La Corte Costituzionale ha più volte evidenziato la natura del diritto alla abitazione come diritto funzionale in quanto strettamente collegato alla dignità umana e alla sfera personalissima (sentenze 217 e 404 del 1998 ove il diritto all’abitazione viene configurato come diritto primario, rientrando tra gli elementi caratterizzanti della socialità cui si conforma lo Stato democratico). Comprimere questo diritto, rendendolo particolarmente oneroso con un aumento dell’imposizione, è incostituzionale.
20. La vera riforma è recuperare la funzione inventariale del catasto per avere una fotografia reale degli immobili esistenti, della loro consistenza e conformazione anche al fine di una gestione del territorio attenta alla sostenibilità ambientale.
DOCUMENTO DI LETTERA 150 a cura di:
Dr. Alberto Lusiani, Prof. Francesco Manfredi, Prof. Antonio Uricchio, Prof. Giuseppe Valditara, Dr. Claudio Zucchelli