Silvio Berlusconi per oltre vent’anni, dalla sua famosa discesa in campo, è stato sottoposto ad una lapidazione giudiziaria non ascrivibile solo alle toghe “rosse”, avendo partecipato alla sassaiola la componente mediatica giustizialista che ha stipulato un patto con alcune procure per ottenere materiale documentale, coperto da segreto istruttorio, e così organizzare il linciaggio del bersaglio di turno. Il sodalizio fra alcuni ambienti togati e le redazioni di area progressista si è subordinato ad un disegno eversivo per sovvertire il prodotto della democrazia che si pronuncia con libere elezioni.
Per alcuni ciò che la democrazia aveva sancito andava rettificato con il maglio giudiziario. Brandelli del corpo democratico sono stati sequestrati dal combinato disposto fra magistratura e media, con i venefici questurini del giornalismo a fomentare un clima d’odio verso colui che riuscì nell’impresa di federare una coalizione di centrodestra ritenuta “colpevole” di aver smontato il disegno egemonico della sinistra. La sentenza della Cassazione che nel 2013 condanna Berlusconi in via definitiva per frode fiscale, a cui seguì la decadenza da senatore con l’applicazione retroattiva della Severino, è stata ribaltata da due fatti: la testimonianza del magistrato Amedeo Franco, membro del collegio giudicante della sentenza Mediaset, che fa esplicito riferimento a pressione ricevute dall’alto per la fucilazione politica del Cav e la sentenza del Tribunale civile di Milano che ha riconosciuto la legittimità del compenso elargito a Frank Agrama, nell’intermediazione per l’acquisto dei diritti Tv, confermando la tesi difensiva di Berlusconi e cioè che la vendita dei prodotti cinematografici non era fittizia per aggirare il fisco, ma reale.
Dunque, non c’è stata una dichiarazione fraudolenta che, peraltro, non poteva essere imputata a Berlusconi che all’epoca dei reati contestati non ricopriva incarichi aziendale. Una vicenda torbida che convalida i sospetti di un accanimento giudiziario per motivi politici contro Berlusconi. In questi anni la delegittimazione per via giudiziaria di un esponente rappresentativo della democrazia italiana ha concorso a fertilizzare il terreno dell’antipolitica in cui hanno attecchito i 5 stelle con l’estrema semplificazione di un messaggio che autorizza chicchessia a sentirsi disponibile per ruoli di governo. Il principio dell’«uno vale uno» è l’esaltazione del capovolgimento del valore meritocratico in funzione della cachistocrazia (il governo dei peggiori).
Pertanto, Berlusconi, essendo stato vittima del clima di odio istigato dal giacobinismo giustizialista, che ha levigato con cinico furore le lame della ghigliottina mediatica, dovrebbe rifuggire da ipotesi di governissimi con coloro che hanno fomentato la sua demonizzazione e prosperato nell’ostilità diffamante della sua figura. Dobbiamo riabilitare un modello culturale e politico che i grillini hanno degradato con la loro retorica sobillatrice, seppure il potere li ha talmente sedotti da aver subito una repentina metamorfosi in ceto politico abbarbicato ai privilegi dello status di parlamentari e ministri.
Berlusconi, in una intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica, si è dichiarato disponibile ad entrare al governo con una nuova maggioranza, ma non possiamo ritenere plausibile la volontà di far sopravvivere una legislatura che è il prodotto della lunga campagna di demonizzazione di cui è stato vittima il signore di Arcore.
Andrea Amata, 3 luglio 2020