Cosa sta succedendo a Cecilia Sala o intorno a Cecilia Sala, abusivamente prigioniera in un buco nero di Teheran? Tutti i destini sono aperti, ma sconcerta – e lascia sperare, e insieme preoccupa – l’intervento della madre, che ha invocato il silenzio stampa a poche ore da una estemporanea conferenza stampa all’uscita di palazzo Chigi, a caldissimo dopo il colloquio con la premier. Già ci aveva rispettosamente indisposto quell’entrata a piedi uniti nel club delle mamme esternatrici, eccone un’altra che parla e magari rovina la tessitura diplomatica di una faccenda maledettamente delicata e complicata.
Nel volgere di una luna è arrivato il contrordine, affidato alle agenzie: “La situazione di nostra figlia, Cecilia Sala, chiusa in una prigione di Teheran da 16 giorni, è complicata e molto preoccupante. Per provare a riportarla a casa il nostro governo si è mobilitato al massimo e ora sono necessari oltre agli sforzi delle autorità italiane anche riservatezza e discrezione. In questi giorni abbiamo sentito l’affetto, l’attenzione e la solidarietà delle italiane e degli italiani e del mondo dell’informazione e siamo molto grati per tutto quello che si sta facendo. La fase a cui siamo arrivati è, però, molto delicata e la sensazione è che il grande dibattito mediatico su ciò che si può o si dovrebbe fare rischi di allungare i tempi e di rendere più complicata e lontana una soluzione. Per questo abbiamo deciso di astenerci da commenti e dichiarazioni e ci appelliamo agli organi di informazione chiedendo il silenzio stampa. Saremo grati per il senso di responsabilità che ognuno vorrà mostrare accogliendo questa nostra richiesta”.
È il nulla dei luoghi comuni che vela il lavorìo delle soluzioni possibili, dei possibili colpi di scena. È anche, o almeno così suona, la correzione, o autocorrezione, fulminea, quasi convulsa, alla deriva iniziale: che bisogno c’è (ed è una questione che non riguarda solo la madre di Sala, quanto chiunque versi in situazioni drammatiche) di esporsi, quasi esibendo una intimità col potere frutto di una contingenza anomala e urgente? Va così, lo sappiamo, e nessuno sa sottrarsi: ma non è, con ogni evidenza, una opzione fruttifera; non lo è mai. “Sono necessari riservatezza e discrezione, la fase attuale è molto delicata”. Certo, ma non lo era anche prima? Non lo era dal principio? Sta di fatto che, nel giro di pochissime ore, con una nottata di mezzo, si riscopre il valore indispensabile della misura, della prudenza; a dire del lasciar fare a chi può fare, a chi ha i mezzi e gli strumenti, l’esperienza per sbloccare una situazione fragilissima, con l’America che si intestardisce e l’Italia stretta in una morsa: chiaro che in una condizione simile si tratta anche col diavolo, chiaro che lo si nega o almeno non lo si ammette, chiaro che tutto fa parte del gioco. Ma la partita non è solo umana, di una vita che comunque resta inestimabile: la realpolitik dice che se questa ragazza la tiri fuori bene, e alla svelta, ti rafforzi e te ne puoi anche vantare, in caso contrario vieni travolto, anche se non hai nessuna colpa. Non facciamo a nasconderci, non fingiamoci le verginelle che non siamo: questo è il potere, questa è la politica. E qui la politica ha il compito davvero di salvare la capra dell’ostaggio insieme ai cavoli della sua stessa essenza, ossia la ragion politica.
A questo punto, e sembrano averlo capito anche i parenti dell’ostaggio, l’unica è tacere, aspettare e in un modo o nell’altro fidarsi, riporre attese e paure in chi agisce pour cause. L’appello, formalmente rivolto ai media, lascia trapelare diverse allusioni, plurimi messaggi: da un ripensamento della famiglia a un invito alla misura rivolto all’informazione. Ma come può l’informazione astenersi dallo speculare su quanto va covando, maturando? Per esperienza, chi scrive capisce benissimo che l’informazione si sta limitando al minimo, che si sta attenendo, vivaddio, al senso di responsabilità con cui evitare di pregiudicare una condizione, come dicono gli stessi parenti, “complicata e molto preoccupante”. Insomma hanno ricevuto, oltre e prima gli appelli dei genitori, precise istruzioni e non parlano, dicono solo il vuoto o poco più del vuoto: bene così.
Ma la sensazione di uno snodo, di un qualcosa che si prepara, cruciale, forse decisivo, quella la può percepire anche il più ingenuo e superficiale dei fruitori. Tanto più che i soliti radicali, che su qualsiasi faccenda si gettano con la levità dell’elefante in cristalleria e il cinismo delle iene scervellate, hanno precipitosamente annullato la loro iniziativa idiota e autofererenziale programmata per domenica 6 gennaio: “Accogliamo l’appello dei genitori di Cecilia Sala e sconvochiamo (sic) la manifestazione indetta per lunedì 6 gennaio davanti all’ambasciata iraniana”. Se perfino i radicali, o ciò che ne resta, “sconvocano”, cioè reprimono la loro irrefrenabile propensione all’esibizionismo, vuol proprio dire che siamo ad un passo fondamentale. Quale, pochi possono saperlo e nessuno può dirlo, per il momento.
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A noi non resta che sperare, che credere con ogni intenzione che Cecilia Sala verrà liberata presto e potrà tornare alle sue attività, arricchita di una esperienza tremenda ma risolta. E anche che, a lieto fine maturato, potremo risparmiarci le polemiche, le passerelle, le vetrine, le invidie, le scemenze, le esagerazioni, le strumentalizzazioni, i carrierismi, i fanatismi, i vaneggiamenti del Barnum Italia da parte di tutti, nessuno ma proprio nessuno escluso. Ma questo, sappiamo che è più difficile che riscattare l’ostaggio. Non improbabile, proprio impossibile. Comunque, di gran lunga meglio rassegnarci all’ennesima fiera delle vanità che al contrario, imposto da un epilogo cui non vogliamo neppure pensare.
Max Del Papa, 3 gennaio 2025
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