Politica

Cecilia Sala, un’altra Sigonella

Con l’arresto di Cecilia Sala da parte degli ayatollah l’Italia si era ritrovata quasi a dover affrontare un’altra Sigonella. Da una parte gli americani volevano Abedini, arrestato in Italia su loro input in quanto agente iraniano sotto copertura. Dall’altra l’Iran sotto totalitarismo sciita, astutamente, mise in carcere una giornalista italiana.

La scelta era oculata: giornalista, così la solidarietà dei media era assicurata, con tutto il rimbalzo comunicativo che, per esempio, un raccattapalle non avrebbe lucrato; donna, così le femministe avrebbero aumentato l’audience sul caso. Solo che gli iraniani su quest’ultimo punto hanno fatto male i loro calcoli. La Sala è sì, una donna, ma non scrive per il Manifesto, almeno per ora, bensì per il Foglio, giornale ondivago che però nell’immaginario sinistro (che è quello delle femministe) risulta più di “di destra” che altro. Dunque, silenzio.

Ora, l’attuale governo italiano si ritrova con un ministro degli Esteri che non sembra avere la tempra di Berlusconi di cui è successore alla guida di Forza Italia. Epperò, lo stesso Berlusconi, pur avendo dimostrato più volte grinta di combattente, quando fu il caso di bombardare la Libia e far fuori quel Gheddafi con cui aveva faticosamente intessuto ottimi rapporti, dovette chinare il capo e piegarsi ai voleri degli “alleati” Usa e Francia sarkozyana. Infatti, anche allora si prospettava un’altra Sigonella. All’epoca di quest’ultima, Craxi e Andreotti non si piegarono al diktat americano, e continuarono con la politica filo-araba del famoso “lodo Moro”. Si sa che fine fecero. Craxi dovette scappare dall’Italia. Andreotti dovette sopportare dieci anni di processo per un’accusa infamante. La carriera politica di entrambi, comunque, era stroncata.

Si spera che, nell’affaire attuale, tutto non si risolva all’italiana, cioè con un esborso finanziario che salvi, sì, cavoli e capre governative, ma si aggiunga alle stangate che il povero contribuente bue deve sostenere a causa di “alleati” che fanno solo e sempre i loro, di interessi. Intanto, la tanto decantata democrazia americana le cui regole sono così complicate che solo gli esperti riescono a capirci qualcosa, ha quest’altra stranezza: il presidente che ha perso le elezioni resta in carica altri tre mesi prima che subentri il vincitore. Cioè, ha tutto il tempo per seminare mine che il successore dovrà perdere tempo a disinnescare, così che tra quattro anni il partito avverso avrà di che rimproverargli. Zelensky, per esempio, tagliando il passaggio del gas russo verso l’Europa spera di costringere quest’ultima a foraggiarlo ulteriormente in soldi e armi.

L’Italia, che dalla guerra ucraina ha guadagnato solo ossa rotte dal punto di vista economico, è praticamente costretta a continuare a sborsare. La Germania, da parte sua, è quasi alla bancarotta. Con gran felicità del gas americano che, dovendo navigare per giungere fino a noi, costa uno sproposito. Con tutto ciò, i nostri tiggì sembrano tele-Hamas e tele-Kiev. Che riportino notizie fornite dagli ucraini è comprensibile, vista la posizione assunta. Ma su Gaza, è chiaro che Israele ha perso la guerra mediatica su tutti fronti.

Ed è strano che, questa volta, non si sia mossa per tempo replicando quel che fece ai tempi della guerra dei Sei Giorni, quando Adamo cantava Inch’Allah, Gianni Morandi cantava Israel e gli hippies americani cantavano Let my people go. Il famoso Mossad non ci aveva pensato?

Rino Cammilleri, 11 gennaio 2025

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