Corriere della Sera “Nascite ai nuovi minimi, scenderanno sotto le 400.000. Il welfare deve cambiare”, “qualche scomoda verità su istruzione e lavoro”, La Repubblica “crolla sotto il 40% il tasso di occupazione dei giovani”.
Lo scenario
In questi giorni dobbiamo cercare questi titoli con una certa attenzione perché tutti i giornali sono invasi da un referendum che andrebbe liquidato in due battute, è inutile e comunque votate No, una inesistente invasione di migranti, la poco chiara ripresa della pandemia che contagia tanti ma fa ammalare pochi e le solite paginate di politica con poche idee e molto gossip. Ma leggendo comprendiamo che le nascite hanno subìto un calo ulteriore portandoci in denatalità, che pochi dei nati negli ultimi 20 anni riceveranno una efficace formazione scolastica ed universitaria per inserirsi efficacemente nel mondo del lavoro e che molti decideranno di lavorare all’estero. A queste letture si aggiunga che mi sono imbattuto nella presentazione di un libro dove l’autore si è fatto scappare una frase indicativa “stiamo attenti al calo delle nascite perché poi chi pagherà le nostre pensioni tra qualche anno?”, accostando, in una forma forse involontariamente ricattatoria, il calo delle nascite con il sostentamento di un sistema pensionistico e di welfare al limite dell’insolvenza.
Ma oggi l’Italia è un paese grillinizzato dove il reddito di cittadinanza è ormai sdoganato; dove la decrescita, felice o meno che sia, la abbiamo realizzata; dove l’appiattimento salariale coniugato allo smart working sta generando una emigrazione al contrario, perché lo stipendio lombardo si gode di più in Campania, Sardegna o Sicilia; dove il Parlamento, nell’immaginario abitato da inutili satrapi e nemici del popolo, è in realtà composto da personaggi minori e insipidi; dove il rischio d’impresa è considerato un crimine quando fallisce ed un ingiusto arricchimento quando dà risultati; dove la tassazione è definita dalla spesa incomprimibile dello Stato e non dal costo dei servizi che lo Stato dovrebbero erogare; dove si nazionalizzano aziende che dovrebbero fallire e si fanno fallire aziende vittime di tassazione, burocrazia e bancocentrismo; dove… potrei continuare ma sono sfinito.
Cervelli in fuga
Allora chiediamoci: perché un giovane tra i 20 e i 25 anni, nato in Italia, studente Erasmus, laureato con buoni voti in una facoltà che magari non sia la triennale in Tutela e benessere dell’animale (Teramo), o il corso in Scienze dell’Allevamento, Igiene e Benessere del Cane e del Gatto (Bari), o ancora la laurea in Scienza e Tecnologia del Packaging (Parma) o l’imperdibile triennale in Scienze e Cultura delle Alpi (Torino), dovrebbe restare in Italia a versare le tasse e crescere i suoi figli, contribuendo al benessere collettivo? Cosa dovrebbe spingere quel giovane ad interessarsi alla cosa pubblica, a partecipare al dibattito politico, ad impegnarsi per emergere nella sua professione, a cercare non il posto fisso ma un posto ben remunerato magari in una amministrazione pubblica capace di valorizzarlo. In poche parole a restare in Italia mentre una classe politica improvvisata e poco astuta la sta trasformando in una ininfluente provincia dell’Europa, dopo esserne stati un paese fondatore?
Soluzioni…
La domanda è retorica, ma in realtà il problema è un altro e non sono i ragazzi scolarizzati, laureati, poliglotti e cosmopoliti che partono, il nostro problema non sono i cervelli in fuga, ma piuttosto i cervelli che restano. Perché la grande maggioranza di quelli che restano sono cervelli che hanno rinunciato alla voglia di rischiare e di emergere, solo rivolti ad una esistenza di sussistenza in una società dove sempre di più sono i vecchi a sostenere i giovani e non viceversa. Non voglio sociologizzare polemizzando sul perché ed il come si è arrivati a questo ma è tempo di proporre qualche idea utile al dibattito, ben consci che prima di tutto non dobbiamo credere agli imbonitori, perché non esiste la soluzione rapida e ci vorranno anni per risalire la china.
Pertanto:
– il sostegno alla genitorialità non può risolversi solo grazie ad incentivi e bonus, ma necessita di aspettative positive che si potranno realizzare solo grazie ad una forte liberalizzazione del mercato del lavoro coniugata ad un coraggioso contenimento delle tasse che permetta di liberare le risorse economiche necessarie alla crescita.