Come spesso accade, a forza di guardare il dito della polemica si finisce col perdere di vista la luna. Sta succedendo da ventiquattr’ore a questa parte sul caso dell’Università “Aldo Moro” di Bari: l’Ateneo che ha deciso di applicare uno sconto del 30% sulle tasse universitarie alle studentesse che decideranno di iscriversi a corsi di laurea di solito scelti dai maschi. Giusto, sbagliato? Ecco il problema: anziché discutere della boiata delle quote rose tra laureandi, il dibattito s’è scatenato sulle parole di Simone Pillon.
Per carità, il senatore leghista stavolta l’ha sparata grossa. Sostenere sia “naturale” che “i maschi siano più appassionati a discipline tecniche” e le femmine “abbiano una maggiore propensione per materie legate all’accudimento”, è una tesi oggettivamente indifendibile. Se però allontanassimo lo sguardo dal dito per puntarlo alla luna, ci renderemmo conto che la scelta dell’Università se non sciocca appare sicuramente discriminatoria.
Innanzitutto: che motivo c’è di “spingere” con vantaggi fiscali le donne verso materie come informatica, comunicazione digitale, fisica, scienze e via dicendo? Mica nessuno le obbliga ad andare altrove. Non ci pare neppure vi siano regolamenti stile apartheid che vietano alle signorine di iscriversi a un corso o a un altro. E non esiste neppure una legge che imponga ad una ragazza di intraprendere questa o quell’altra carriera universitaria. Si va dove si crede di avere una propensione. O, più banalmente, dove si intravede la possibilità di trovare un lavoro in fretta. Dunque se una femminuccia è appassionata di software s’iscriverà a informatica. Altrimenti farà altro. E difficilmente si farà ingolosire da un migliaio di euro di sconto.
Se poi proprio il desiderio del rettore Stefano Bronzini era quello di riequilibrare la presenza di genere nei vari corsi di studi, poteva almeno applicare un po’ di par condicio. Perché i maschietti dovrebbero pagare a prezzo pieno le facoltà a maggioranza femminile, tipo ostetricia? Non meriterebbero anche loro uno sconticino del 30% sulla retta annuale? Suvvia. Stavolta per schivare le polemiche sarebbe bastato poco. Era sufficiente applicare la “parità di genere” in modo bidirezionale, anziché inventarsi le quote rosa universitarie.