Una giuria del North Dakota ha condannato Greenpeace a pagare 660 milioni di dollari per danni causati dalle proteste contro l’oleodotto Dakota Access. La causa è stata intentata da Energy Transfer, una compagnia petrolifera texana, che ha accusato l’organizzazione ambientalista di diffamazione, violazione di domicilio e associazione a delinquere. La sentenza, emessa il 19 marzo 2025, rappresenta una delle più pesanti mai inflitte a un’organizzazione no-profit.
Le accuse e il verdetto
Energy Transfer ha sostenuto che Greenpeace ha orchestrato una campagna di violenza e disinformazione tra il 2016 e il 2017, ritardando la costruzione dell’oleodotto e danneggiando la reputazione dell’azienda. La giuria ha ritenuto Greenpeace USA responsabile di tutte le accuse, imponendole un risarcimento di 404 milioni di dollari. Greenpeace International e Greenpeace Fund Inc. dovranno invece pagare circa 131 milioni ciascuna.
Le reazioni di Greenpeace
Greenpeace ha annunciato che presenterà ricorso contro la sentenza. “La lotta non è finita”, ha dichiarato Deepa Padmanabha, avvocata dell’organizzazione. Kristin Casper, consulente generale di Greenpeace International, ha aggiunto: “La lotta contro le grandi compagnie petrolifere non finisce oggi”. L’organizzazione ha anche sottolineato che la condanna potrebbe mettere a rischio la sua sopravvivenza negli Stati Uniti.
Le proteste e il contesto
Le proteste contro l’oleodotto Dakota Access sono iniziate nell’aprile 2016 e sono state guidate dalla tribù Sioux di Standing Rock, preoccupata per i rischi ambientali. Migliaia di attivisti si sono uniti alle manifestazioni, che hanno portato a scontri con le autorità e centinaia di arresti. Greenpeace ha sostenuto di aver fornito solo supporto per azioni non violente, negando di aver guidato le proteste.
Le implicazioni per il futuro
La sentenza solleva interrogativi sul futuro delle proteste ambientaliste e sulla libertà di espressione. Alcuni temono che questa decisione possa creare un precedente per altre cause legali contro organizzazioni no-profit. Nonostante le difficoltà finanziarie, Greenpeace ha promesso di continuare la sua battaglia per la difesa dell’ambiente.
Greenpeace Italia: “Non ci faremo intimidire”
Simona Abbate di Greenpeace Italia ha dichiarato che la sentenza non riguarda gli altri uffici dell’organizzazione nel mondo. “Non ci faremo intimidire”, ha affermato, sottolineando che Greenpeace continuerà a lottare contro le grandi compagnie petrolifere. La multa, però, rappresenta una sfida significativa per l’organizzazione, che si finanzia esclusivamente attraverso donazioni. Una lezione bella e buona: una cosa è protestare, un’altra il boicottaggio.
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