Che fine patetica: la tendina rivoluzionaria “leva le tende”

Ilaria, la studentessa che ha lanciato la protesta fuori dagli atenei contro il caro affitti se ne va

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ilaria tende

Ilaria la pasionaria locataria si smonta da sola: “leva le tende”, la sfotte perfino il Corriere, organo woke della sinfonia “i giovani hanno sempre ragione e bisogna risolvergli la pena dell’X Factor“. Inteso come talent, che è sempre meglio che lavorare. La ricordate, la Rosa Park della Canadese? In aprile regalava un fremito di vitalità alla sinistra comatosa piantandosi davanti al Politecnico per una protesta così astrusa che nessuno ci capiva niente: lei farfugliava di caro alloggi, di equo canone universitario, di reddito di affittanza, ma era una chiara trovata per guadagnarsi i titoli, destinazione Montecitorio come tutti quelli che vogliono laurearsi all’università della vita senza studiare, per scorciatoie di marxismo Bignami e gnegnegne.

Subito la truppa populista piddogrillina sciamava a fingere di dar retta alla poco più che ventenne, brutalizzata da giornalieri viaggi in treno da e per Seregno, tempo di percorrenza 18 minuti: lei voleva casa a Milano, e la voleva nel cuore didattico di Milano, città studi, e la voleva incastonata nel ventricolo sinistro del giardino del Politecnico, frequentato con non esagerato profitto. La lotta continua, non mi fermerò per niente al mondo. Sacrosanto! Epocale! Oh, così comunista! E Ilaria attendava, e veniva Majorino, e veniva Elly Schlein, e prometteva Sala, e si ginocchiava Myrta, e nasceva il movimentino, che non era di Myrta e non era di Majorino: subito due, tre, dieci, 58 tende tra Milano, Roma, Bologna, patria di Patrick Zaki, laureato fresco in gender, una cosa virale, purché sotto le telecamere, pareva che la rivoluzione dovesse passare per il campeggio.

Invece no. La fiammata bolscevica, così com’era divampata, si spegneva nella totale indifferenza, anzi insofferenza: le novità durano sempre meno, i capricci da generazione F come fattela finita hanno saturato, la lotta continua prevede un minimo di agio nel disagio, altro che accampamenti sioux, e Dio mio quel ragazzino marchigiano che bivaccava in un loculo di 9 metri quadri, roba da Conte Mascetti, in porta Venezia a 700 euro al mese, ma che sfruttatori questi longobardi di metropoli, ché lui il mondo lo immaginava diverso, più equo (canone) e solidale, e quando lo abbiamo un po’ sfottuto si è messo a frignare sul solito Corriere con mamma coraggio incorporata; ad onta, e fu la folata tombale, veniva fuori che la nostra Ibarruri ad equo canone già abitava una casa proprio a città studi.

Allora che voleva? Ma è chiaro: sensibilizzare, sollevare il problema. Invece ha finito per sollevare solo le spalle, far cascare le palle, Elly è sparita, Majo, risucchiato dai suoi flop elettorali, ha preferito battaglie più urgenti, per il proprio appartamento, Ilary è rimasta con la tenda vuota. E adesso la sbaracca. Lo dichiara, tanto per cambiare, al Corriere che, pur nella massima comprensione, non riesce del tutto a nascondere quella punta di affettuoso compatimento. Le motivazioni della nostra combattente per un mondo più okkupato, abitato, ma non pagato o almeno pagato come pare a lei, perché nell’economia da parte tendina rossa il prezzo lo fa non il mercato ma il bimbominkia di stato, sono volatili, desolanti, figlie di un tempo che insegna ad astrarre, a riempire l’aria di pretese senza contenuto, un battere i piedi perenne, per tutto, sono talmente sconcertanti che le chiosiamo insieme: “L’obiettivo era sollevare il tema e portare l’opinione pubblica a parlarne. Non avevamo l’ambizione di risolvere una questione di questo genere in pochi mesi».

Per approfondire

Tradotto: non so di che parlo ma volevo farmi notare. “Potevano sbilanciarsi un po’ di più. Non abbiamo visto tutta quella volontà politica che ci aspettava-mo. In particolare dalla Regione e dal governo non ci siamo sentiti ascoltati”. Tradotto: mi ero sbattuta tanto, tutte quelle cazzo di notti al freddo, mi avevano promesso mari e monti e poi sono spariti, sti bastardi. “Il clima di giugno, la sessione e gli impegni personali hanno imposto un stop delle notti all’aperto. Ma andremo avanti fino a quando non avremo qualcosa di concreto». Tradotto: in autunno ci riprovo, adesso ci stanno le vacanze, ma alla fine sta candidatura qualcuno dovrà pure mollarmela. «L’ho fatto sopra il gomito destro [il tatuaggio della tenda]. Vedo la mia pelle come una tela da riempire. Per me è stata un’esperienza importante: era la prima volta che una mia idea riscuoteva successo».

E qui non c’è niente da commentare, solo da tirar fuori il fazzoletto, la fine è patetica, deamicisiana e conferma il sospetto del primo giorno: questa allegoria della gioventù sfibrata, portavoce del fortissimo impegno a non impegnarsi, non ha nessuna voglia e forse attitudine per studiare, non sa che fare della sua vita, le cicca tutte una via l’altra, alla fine aveva trovato una strada alternativa che portava dritta al centro sociale, ovviamente fino a scatto di contingenza sociale. Bestia che figura. Non ci sono più le rivoluzioni d’ottobre, solo quelle di aprile che come noto è il più crudele dei mesi. Ilaria voleva saldare la protesta sua alla causa dei migrantes, dei clochard, dei sans papier: non l’hanno seguita manco quelli.

Forse Milano non è ancora perduta malgrado tutto, forse un barlume di senso le rimane, se ancora sa dare una priorità alle cose e sbarazzarsi delle cialtronate giovanili che per orizzonte hanno un dedalo di scorciatoie che portano da nessuna parte.

Max Del Papa, 8 luglio 2023

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