Poteva forse la pornografia non essere colpa “del capitalismo maturo” che sfrutta il corpo delle donne “in modo intensivo”? E poteva forse non essere Giorgia Meloni un “modello negativo” solo perché preferisce farsi chiamare “il presidente” anziché “la presidente” (alla faccia della libertà di scelta). E poteva forse Lilli Gruber non disegnare un’Italia in cui “la stampa libera” è talmente a rischio che lei, non esattamente un’amica di questo “regime”, da vera reietta si deve consolare con una insignificante trasmissione in prima serata tutti i giorni e con un’intervista a pagina intera su uno dei quotidiani più importanti d’Italia?
È tornata Lilli Gruber, ma nel senso negativo del termine. La conduttrice di Otto e Mezzo, noto programma in cui vengono reclusi i cronisti scomodi al potere, torna a parlare alla Stampa. E lo fa col solito tono da maestrina (si può dire, o in nome della libertà di stampa rischiamo la querela?), il tono di chi può dare lezioni di indipendenza dei giornalisti dalla politica essendo stata eletta nel 2004 al Parlamento europeo nella lista Uniti nell’Ulivo per poi confluire nel Partito Democratico. La formuletta “eletta come indipendente” serve a salvare la faccia ai tanti cronisti che fanno il grande salto in politica e poi tornano indietro. Ma, se ci è permesso, puzza un tantino di presa in giro.
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Torniamo all’intervista. Sorvoliamo sul porno, se non per dire che la soluzione by Gruber sarebbe quella di introdurre “l’educazione sessuale nelle scuole, a partire dalle elementari”. Ignoriamo il ragionamento sugli uomini “molestatori e abusanti” che in Italia avrebbero “vita fin troppo facile”. Lasciamo perdere anche il parallelismo tra “sistema patriarcale”, “machismo” e legge sull’aborto (anche se qualcuno dovrà pur spiegarle che nessuno sta riscrivendo la legge 194, semmai vorrebbero applicarla fino in fondo, ma non è oggi il giorno giusto). E arriviamo alla “stampa libera”.
Un bel giorno, era il novembre del 2023, Gruber disse che la premier ha “uno stile di governo patriarcale“. Critica legittima, per quanto strampalata, che provocò l’altrettanto legittima risposta del primo ministro. Nello strano sistema dei poteri caro agli intellettuali chic, tuttavia, funziona così: loro possono criticare e ogni tanto pure insultare (vedi Saviano o Canfora), ma guai se il politico osa rispondere per le rime (o con le querele). In quel caso subito scatta l’indignazione per lesa maestà.
“Alla nostra premier la stampa libera e critica proprio non piace – dice Gruber – Continuiamo a sperare in un malanno stagionale anche se ormai va avanti da parecchi mesi”. E poi il caso Scurati con il “tentativo di censurare l’antifascismo” (ciao core), la vendita dell’Agi come “un vergognoso conflitto di interessi” (come no), gli scontri di Pisa con i ragazzi “manganellati solo perché manifestavano pacificamente” (s’è visto…) e infine la ciliegina sulla torta. Una sorta di ossessione: Meloni è femmina ma non femminista. “Se arrivi al potere e poi quel potere lo usi per minare i diritti delle altre – conclude Lilli – se il tuo essere madre lo declini solo in retorica della maternità mentre aumenti l’Iva sui pannolini; se sei insomma femmina ma non femminista, allora avercela fatta è utile per te, ma inutile per le altre e persino dannoso”. Che barba.
Giuseppe De Lorenzo, 27 aprile 2024
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