Società

Che ridere la star dell’antimafia beccata con le mani nel barattolo

La procura ue fa arrestare la preside antimafia dello Zen 2 di Palermo: “Rubati cibo, tablet e tv”

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L’intuizione di Sciascia sui professionisti dell’antimafia era un po’ indulgente e un po’ omertosa: se l’antimafia la bazzichi o anche solo la sfiori, capisci presto essere faccenda più complicata, più massonica. Già è tutta roba di sinistra, con alcune pietose infiltrazioni della destra opportunista o subalterna; fatto è che lì dentro, nell’antimafia professionale o amatoriale, sono smanettoni tutti, santi laici o in tonaca, chi su scala industriale, esistenziale, chi in modi anche patetici, tipo le zitelle della mensa dei poveri che si tengono per sé le scatolette ancora buone e ai poveri, ai “negri” danno quelle scadute.

Lo stesso faceva la professoressa antimafia Daniela Lo Verde, preside della scuola antimafia Giovanni Falcone nel cuore del quartiere Zen palermitano, cuore della mafia antimafiosa e dell’antimafia mafiosa. La preside Daniela, conosciuta per le battaglie antimafia, per le roboanti dichiarazioni antimafia, sempre le solite, non abbassare la guardia, tenere alta la testa, si era guadagnata le onorificenze presidenziali, perbacco, ed è finita ai domiciliari con accuse di corruzione. Fermo restando il garantismo, si tratta di una corruzione imbarazzante, quasi straziante: avrebbe usato la sua scuola antimafia come ufficio doganale per farvi transitare il ben di Dio consumistico, apparecchi, dispositivi, elettrodomestici ma pure generi di consumo, derrate, perfino le birre che, come tutti sanno, fanno parte della mensa degli scolari elementari. Niente di lasciato al caso: c’era un trust, un accordo con un negozio di elettronica, facevano la sparta: la roba arrivava, a grandi ordinativi, e la preside con i collaboratori la vagliava, questo lo prendiamo subito, questo lo vediamo dopo, e, si faceva recapitare il meglio a casa. Una preside antimafia, ma soprattutto Amazon.

Per non abbassare la guardia, non la abbassava mai, almeno secondo i carabinieri che la sorvegliavano; le intercettazioni sono irresistibili, da episodio di Montalbano: dopo un furto a scuola, opportunamente cavalcato, tutti a festeggiare, anche il vicepreside, pure lui arrestato, che in un filmato si porta via i computer: “Into u culu, a curnutu, curnutu e mezzo, accà arrivano soldi da tutte le parti“. La brava gente antimafiosa di Palermo si impietosiva agli accorati appelli della preside Daniela e versava. Così vanno le cose nelle scuole “di frontiera”, secondo retorica moralistica e legalitaria, dei quartieri mafiosi nelle città mafiose. Ma non solo in quelli, attenzione.

L’intuizione di Sciascia era in fondo tenera, comprensiva perché non diceva ciò che un intellettuale siciliano, di sinistra, antimafioso non può dire, non può ammettere: che così fan tutti, che nell’antimafia dei virtuosi rubacchiare o anche rubare a man salva è considerato normale anzi scontato, un benefit, quasi un risarcimento per una vita di frontiera a tenere alta la testa, a non abbassare la guardia. Ih, che sarà mai, fesserie, qui noi rischiamo la pelle. C’è molto di estremo, di san Sebastiano nell’antimafia retorica e occasionalmente ladra e la mistica del sacrificio, della bomba immaginaria ma che può arrivare ad ogni momento, è fondativa e non dispensabile, è la retorica del Bene che tutto giustifica e tutto tiene su e tiene insieme.

Chi scrive ha partecipato alle decine di convegni antimafiosi, con le star dell’antimafia giornalistica, politica, religiosa e soprattutto giudiziaria che dietro ai sorrisi si scambiavano allusioni e velate minacce da cosca, certi veleni, certi odii spietati, certo “sparliu”, come chiamano in Sicilia il pettegolezzo mafioso, da fare impallidire u Zu Totò, detto u curtu. E certi protagonismi da annichilire la più spietata delle influencer. Tutto un turbinio, un carosello di scorte, a tutti anche a chi come me non c’entrava una beata minchia e nessuno lo conosceva, ma il circo dell’antimafia si muove in carovana e bisogna sorvegliare tutti. Poi è coreografico, quando arriva l’arnata del bene, che non abbassa la testa, è come il gran premio di Montecarlo, le città prese in ostaggio, fate largo, passa l’antimafia antibiotica. E i parenti delle vittime che ne hanno fatto un mestiere, che passano dalla macarena al pianto retrospettivo appena spunta una telecamera, anche se sono passati cinquant’anni, e poi tornano al balletto e al banchetto. Perché non c’è antimafia senza mangiata catartica e volendo allegorica nel migliore ristorante cittadino, sequestrato e blindato.

Una volta mi diedero anche un premio. Prima la madrina, davanti alla Cosenza infestata dalle ndrine mi prendeva da parte, mi raccomando risparmiaci le tue sparate che qui dobbiamo andare d’accordo con tutti, e per tutti intendeva proprio tutti e io capivo. Poi faceva il suo numero sulla mafia che cresce sul nepotismo e sulle raccomandazioni, ma poco dopo, a cena, mi chiedeva un occhio di riguardo per il figlio aspirante musicista, visto che scrivevo su un giornale musicale. E l’altro, il ragazzino con la sciarpetta di seta e i capelli assassini, da scuotere ogni momento, per la beatitudine delle scolaresche sognanti cui buttava là con nonchalance improbabili storie di minacce, di cannoli recapitati non si capiva da chi, mentre seduto al mio fianco il sindaco antimafioso di Gela, Rosario Crocetta, bofonchiava, che camurria st’antimafia dei pannolini. Poi anche Crocetta è finito nei guai, guai antimafiosi ma lui li attribuiva a non so che sofisticati complotti per farlo fuori, l’altro invece ha ottenuto un posticino alla Rai comunista, tendenza Santoro e non ne ho saputo più niente.

Adesso per lo Zen è inutile chiedere in giro, nessuno ha visto, ha sentito, giusto uno, i capelli tinti e la faccia, non proprio rassicurante ma ammiccante sì, sorrideva sotto il baffetto siculo: la preside qui ha fatto solo del bene, eh eh. E certo. Gli altri filano via neanche gli avessero preso il superboss, occhi bassi, scatti di spastico fastidio verso quei cornuti di giornalisti che arrivano dal continente a scassare i cabasisi. Ma c’è da capirli: brava gente antimafia allo Zen, ma la legge nell’antimafia mafiosa resta la stessa: ciascuno si faccia i fatti suoi. E se la trasgredisci ti può succedere qualcosa di peggio che un avviso di garanzia, un’ordinanza per gli arresti domiciliari.

Max Del Papa, 21 aprile 2023