Che sbadato Fazio: la domanda (sui tweet) che non ha fatto a Gino Cecchettin

Il conduttore di Che tempo che fa si dimentica di chiedere conto dei presunti commenti sessisti del padre di Giulia

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Gino Cecchettin Fazio

È difficile parlare di Gino Cecchettin da Fazio senza correre il rischio, che poi è una certezza, di maramaldeggiare o meglio di venire maramaldeggiati: fraintesi, distorti. Ma proviamoci. Anzitutto, tanta smania mediatica, se ne facessero una ragione le anime belle, che poi tanto belle non sono mai, è sospetta: lascia intuire un apparato, la sovrastruttura che tutto organizza e tutto determina. È anomala, proprio nel senso di non normale, di non fisiologica, per un sacco di buone ragioni.

Dice: ma lui vuole testimoniare la sensibilità di uomo, di padre travolto dalla tragedia. Sì, ma bastava una frase, una volta, magari meglio ancora il silenzio, che in queste situazioni è l’esempio più perentorio. Ma se ti metti subito a girare per atenei e inaugurazioni, se lasci intendere un impegno pubblico, politico o civico che sia, se anticipi ai media il discorso che terrai al funerale di tua figlia, se non rifiuti una sola occasione finendo per saturare con una sovraesposizione allucinante, se corri o ti fai invitare a una celebre ribalta della sinistra faziosa, tutto questo assume il sapore di una reazione quanto meno curiosa, del genere abnorme. Poi si può discutere se sia colpa del soggetto o se il soggetto sia solo l’oggetto di una macchina infernale: conta poco, e non si è mai visto nessuno lasciarsi violentare dal circo mediatico per pura sottomissione, senza una misura di complicità. Ognuno vive il tormento come può? Sì, ma chi ha voglia, nel mezzo di una disperazione come questa, di mettersi a dar la caccia a quelli che tirano fuori i tuoi vecchi tweet?

Qui, peraltro sta la questione cruciale. I contenuti attribuiti a Cecchettin negli ultimi anni. Più immaturi che altro, sull’infantile egocentrico, eccessivo di chi non si rende conto che converrebbe evitare. Ma quanti come lui, nel tempo della vita normale? Suoi? Artefatti? Pare difficile immaginare una spektre che va a costruire pensierini imbarazzanti, non si capisce il senso, l’utilità di una simile operazione e se lo chiedi, difatti, nessuno ti sa rispondere. Siccome restiamo nel campo delle ipotesi, si può benissimo ipotizzare che quelle uscite sopra le righe non fossero affatto taroccate, nelle parole e nelle date: altrimenti Fazio non avrebbe esitato un solo istante nel dar modo all’interessato di spiegare, di chiarire, di discolparsi e di accusare. Invece c’è stato un sinuoso, sintomatico scivolar via, c’è stato uno svicolare che fa più rumore di tanti commenti, più o meno esagerati, sui social.

Ora, quei contenuti, sui quali Cecchettin preferisce glissare, dando mandato al legale di procedere, cioè chiedendo risarcimenti, assumono un valore non in quanto tali, ma alla luce della situazione creatasi. Ripetiamo: se sono falsi, lo si dica, forte e chiaro, possibilmente dimostrandolo, ma santo cielo almeno si protesti, e finisca lì. Se falsi non sono, allora la predica di papà Gino, che nel frattempo ha perso l’accento, è diventato un Papa Gino, è irricevibile. Se ti trascini dietro commenti sessisti e aggressivi, non puoi presentarti urbi et orbi ad accusare l’intero genere umano maschile. Se certe cose le hai scritte, le hai ripetute cento volte, non puoi additare nessuno e non puoi invitare nessuno a “fare attenzione a quello che si dice”: almeno fino a che non ti assumi le tue responsabilità e non inviti a non essere come tu sei stato. Altro che minacciare ritorsioni.

I contenuti espressi da Cecchettin al cospetto di Fazio, che chiaramente non ha perso occasione per rilanciare un nuovo, ennesimo papa della sinistra, non sembrano particolarmente originali o articolati: i soliti luoghi comuni in processione, di quelli che piace sentire al pubblico di Che tempo che fa, il quale è più di bocca buona di quanto non sospetti. Ma la sinistra, perennemente in debito di figure di riferimento, vive da decenni una sua tragedia socioculturale consacrandosi a personaggi di cui regolarmente a breve si pente (senza ammetterlo): si sdilinquisce per Souhamoro, ne costruisce la figura mediatica, e se ne ritrova coperta di fango; passa a Zaki l’egiziano, e quello si lascia andare a sbotti antisemiti e filo Hamas; si affida alla tendina contro gli affitti, e poi la scarica perché viene fuori che è una ragazzetta benestante che tiene nascosto un appartamento a pochi metri dall’accampamento; ripiega sul loggionista antifà (che spettacolo penoso i politici e giornalisti che “si identificano” pubblicamente) ed esce fuori un provocatore-tipo, sul modello di Cavallo Pazzo a Sanremo.

Adesso c’è Papa Gino, e si vedrà come andrà a finire. Ho scritto “papa della sinistra”, ma mi devo correggere: Cecchettin è conteso da tutte le parti, non scioglie la riserva, ma tutti lo vorrebbero. Per far cosa non si sa. Qui affiora la melma di un sistema politico che ormai ha perso ogni decenza e ogni senso del limite, ed è impossibile da distinguere anche nelle attitudini, nelle meccaniche, nelle malizie. I tempi post Muro di Berlino chiedevano, e lasciavano immaginare, una nuova redistribuzione delle issue politiche, non più basata sulla dicotomia destra-sinistra quanto sulla redistribuzione di priorità nel quadro di una tutela condivisa delle istanze di libertà, di tolleranza, di democrazia, di contenimento del potere statale, di ragionevole autonomia dalle istituzioni transnazionali e sovranazionali; particolarmente in Italia, è accaduto l’opposto, si è mantenuta la contrapposizione teorica, fittizia, otto-novecentesca, ma nel segno di una sostanziale commistione d’intenti: che inseguono il primato del potere pubblico, statale a dispetto delle libertà individuali, anche con la violenza quando conviene (il periodo del regime sanitario resterà come una delle pagine più fosche e più tetre dell’Italia repubblicana e nominalmente democratica).

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Un governo dove un ministro ambientale piange adottando una ragazzina che simula ansia ecologica, che parla di apocalisse climatica e spreca altri soldi per obiettivi irrealistici, dove un altro ministro, Giuseppe Valditara, arriva ad avallare la buffonata del patriarcato, vuole imporre l’educazione sentimentale nelle scuole e per di più a affida ad una militante gender e a Papa Gino, risulta organicamente, biologicamente omogeno all’Agenda globale con tutte le strampalataggini woke del caso. Il fatto è che i politici, col potere che incarnano, sembrano sempre più relegati al ruolo di passacarte, di esecutori di programmi o agende decisi, gestiti molto più in alto: sono quelli dei Gates, dei Soros, dei Getty, delle Black Rock, dei fondi globali, che non lasciano niente al caso, dai progetti di controllo globale, affidati per l’esecuzione alle varie Oms e Ue, alle vaccinazioni coattive perenni, alle carni di sintesi, al processo di autosabotaggio occidentale affidato ad un fantomatico patriarcato, alle incredibili disponibilità per Hamas o per i dittatori che le sostengono, ad una invasione migrante spaventosa, alla tolleranza verso il terrorismo climatico, ormai inarginabile, a transizioni ambientali che costano 50mila miliari di dollari da qui al 2050 senza che nessuno sappia spiegare se e a cosa serviranno.

E queste forze, assai poco oscure, ma illimitatamente facoltose, possono, come si constata ogni giorno, come si è capito anche nello scandalo Qatargate, subito soffocato e normalizzato perché travolgeva la sinistra mediterranea e la Ue stessa, possono condizionare, pagandoli, tutti gli attori in gioco: politica, informazione, scienza, comunicazione, cultura. La figura di Papa Gino da Fazio è marginale ma a suo modo emblematica. Difatti nessuno la coglie per quella che è, nel suo autentico simbolismo, e tutti guardano il dito e, soprattutto, si guardano bene dal discuterla seriamente. La mettono chi sull’aneddotico, chi sul pietistico; e non se ne esce.

Max Del Papa, 11 dicembre 2023

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