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Che smemorato Scurati. Più che radical chic è un radical flop

Cinque anni fa lo scrittore metteva in guardia sul paragone tra populisti e fascisti. Oggi ha cambiato idea

scurati manifesto

“A sinistra si commette spesso l’errore di paragonare i leader dei movimenti populisti odierni a Mussolini. Ma questo è un paragone improprio, storicamente infondato, fuorviante, consolatorio e controproducente”: queste le parole di Antonio Scurati tratte da una intervista a “Il Manifesto” del 23 Aprile 2019. Ognuno tragga le conclusioni. Non dimentichiamo, però, che Scurati è autore di un capolavoro come “M. Il figlio del secolo”: bene al posto di partigiannizzare da una parte o dall’altra leggiamo questo libro e capiremo come uno scrittore si debba giudicare da ciò che scrive.

Il problema però è un altro: perché gli intellettuali continuano a gridare al pericolo di un regime? Non esiste neanche lontanamente e credo che lo sappia bene anche Scurati, ma gridare al regime fa discutere, crea polemiche ed è populista: un concetto semplice, chiaro, quasi uno slogan fascista nella sua efficacia. Il problema vero – certo più complesso da far comprendere alle “masse” – è che non viviamo in un regime ma in un Reame. Che è molto più pericoloso di ogni fascismo perché è il peggiore fascismo.

Certo esistono gruppi di estrema destra e estrema sinistra ma fanno parte del Reame. E non è complottismo.

Se non ci sono più ideologie, non possiamo più “credere”. Alla “verità” si sostituisce il “sogno” e la versione “realistica” del sogno è la fiaba.  La politica allora, da dispensatrice di “verità” che era, diventa “venditrice di sogni”.  Una sorta di reame fiabesco. Una specie di Camelot in versione Italia. Un luogo dell’immaginario, dell’inconscio, dove all’utopia si è sostituito il Sogno, all’ideologia la “deriva onirica”.  È come se l’inconscio collettivo italiano stesse regredendo verso una fase neo-infantile, in cui dominano le pulsioni primarie, in cui il principio del piacere ha il sopravvento su quello di realtà.

L’elettorato-Peter Pan vuole la propaganda, esattamente come il bambino vuole il cartone animato. E allora ecco l’antifascismo. Ecco la censura. Presunta o vera. Ma tutto questo discutere da parte della sinistra a cosa porta? A niente. Più che radical chic sono radical flop perché combattono contro un totalitarismo (im)possibile futuro, pur consapevoli che il pericolo è il tota(e)litarismo. L’antifascismo svolge oggi il ruolo di fondazione e di mantenimento dell’identità di una sinistra ormai conciliata con l’ordine neoliberale, che deve dirsi antifascista per non essere anticapitalista, che deve combattere il manganello passato e non più esistente per accettare le proprie contraddizioni.

Perché non si propone a reti unificate la lettura de “La democrazia in America” di Alexis De Tocqueville scritta nel 1842?  “Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente; vive in se stesso e per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia, si può dire che non ha più patria. Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all’autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente nell’infanzia, ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l’unico agente e regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere?”. Se non è fascismo questo.

Gian Paolo Serino, dal Giornale del 28 aprile 2024

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