Da oltre vent’anni, cioè dal tempo di Kioto, ho letto e studiato molto sui problemi dell’ambiente. Ho assistito, da cittadino comune, ai curiosi i dibattiti scienza-democrazia che si sono succeduti fra scienziati, economisti, politici su questo tema, strategico per eccellenza. I poveri scienziati sono stati tirati per la giacchetta dagli uni e dagli altri, trasformati in fornitori di concetti e di locuzioni di sintesi, utili per l’argomentare di lor signori. Quando sei in difficoltà nell’argomentare spari l’atomica: “Come, giustamente, dice il professor……”
Proviamo a mettere in fila, come si fa nel management, nel caso della gestione di organizzazioni complesse, ruoli e responsabilità. Scienza e società civile condividono alcuni valori chiave, per esempio il rispetto delle opinioni diverse e il dialogo, ma al contempo queste due dimensioni funzionano secondo regole differenti. La curiosità e la passione dei ricercatori fanno avanzare la scienza, il dibattito entro la comunità scientifica è sano per definizione. Certo, non possono non escludersi influenze di interessi commerciali, al limite politici, ma l’onestà della comunità scientifica è ben attrezzata per difendersi, malgrado imbarazzanti scivolate scientifiche del passato, che hanno visto coinvolto pure l’Onu. Nella comunità civile e politica il funzionamento è dettato dalla democrazia che, per sua natura, è portata a dilatare i tempi delle sue decisioni, quindi dell’implementazione delle stesse. Gli scienziati possono aiutare il processo decisionale della politica, ma guai a delegare loro le scelte, sia per procrastinarle sia per accelerarle. Peggio ancora delegarla alla piazza.
Nel caso dell’ambiente la stragrande maggioranza della comunità scientifica ha già dato alcune risposte, queste sono quelle che sono, anche se loro continueranno a lavorarci. Se attendiamo l’unanimità scientifica da questo imbuto non ne usciremo mai. La politica prenda una decisione, senza nascondersi dietro gli scienziati, loro quello che potevano fare l’hanno fatto. E non dimentichiamo mai il caso (limite?) di Galileo Galilei, unico non terrapiattista della sua epoca. Ora basta appelli, sfilate, capipopolo. Alla domanda dei genitori “Finita la sfilata cosa avete mangiato?” La risposta è stata franca: “Siamo andati a farci un Mac” La sintesi della lotta giovanile per l’ambiente è tutta qua. Fare i collegamenti razional-culturali spetta agli adulti, non ai giovani. Abbiamo bisogno non di panteismo d’accatto, non di riti laico-massonici, ma solo di execution.
Greta Thunberg e i suoi (nostri) ragazzi vogliono abbattere, come suggerito da alcuni scienziati, il CO2 del 50% entro il 2028? Si prendano allora, con effetto immediato, e con valore erga omnes, decisioni operative in tal senso. Per esempio, a una tassa sul kerosene consumato dall’aereo, escussa al momento dell’atterraggio nessuno può sfuggire (neppure i cinesi o gli americani): se vuoi atterrare paghi o torni indietro. Ci sarà un’alterazione delle leggi di mercato? Comporterà un regresso del processo di globalizzazione? Il Pil di certi settori ne risentirà? Certo, e allora? Se l’obbiettivo è salvare il pianeta lo si faccia. L’accusa “Voi ci avete rubato il futuro” necessita comunque di una risposta, certa e definitiva. Saremo più poveri? E così sia. A chi non sta bene, e vuole il progresso senza limiti, vada su Marte, con i voli di Elon Musk.
Riccardo Ruggeri, 2 ottobre 2019