Qualunque comune d’Italia che avesse a cura le sorti della democrazia dovrebbe dedicare una via a Giorgio Almirante. Senza di lui, infatti, la Repubblica tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, ma anche oltre, avrebbe corso un serio rischio. Bene hanno fatto quindi il deputato e consigliere comunale Ciro Maschio e il sindaco di Verona, Federico Sboarina, ad approntare la procedura, in modo che il Comune dedichi una via al fondatore del Movimento Sociale Italiano.
Premetto che, pur avendone l’età (Almirante morì nel 1988, e la prima volta che votai fu l’anno prima) non ho mai sostenuto il suo partito, mentre guardavo con simpatia a quello socialista guidato da Bettino Craxi. E proprio lui fu il primo a riconoscere quanto Almirante fosse positivo per la democrazia italiana, visto che nel 1983, incaricato per varare il governo, ricevette anche il segretario del Msi. Per quanto oggi ci possa sembrare strano, fu il primo nella storia repubblicana e questo gli valse le critiche e anzi gli attacchi furibondi della sinistra e di Repubblica: quale miglior prova del «fascismo» di Craxi che avere nientemeno incontrato durante le consultazioni il «fucilatore di Salò», secondo una leggenda falsa diffusa sul segretario del Msi? – che sì, aveva preso parte alla Repubblica sociale, ma non aveva mai fucilato i partigiani.
Craxi allora rispose semplicemente che, fintanto l’Msi era considerato un partito legale, in Parlamento e quindi depositario dei voti di milioni di italiani, aveva tutto il diritto di essere ascoltato. E potremmo rispondere anche noi la stessa cosa oggi. Certo per ricevere l‘intitolazione di una strada occorre qualche caratteristica in più. Essere stati personaggi storici di qualche rilevanza, e questo Almirante lo fu. Ma anche diciamo così non negativi, che possano offrire un esempio edificante ai cittadini.
E qui i contrari dicono: no, non gli si può essere intitolata una strada perché è stato fascista. E, argomento più nuovo, perché fu redattore della rivista Difesa della razza, quindi anche antisemita. I due argomenti sono tuttavia discutibili. Che sia stato nella Repubblica sociale, Almirante, è una sorte che condivise con molti, che però poi sono passati a sinistra e hanno cercato di cancellare le tracce. A loro la strada eventualmente sì, ad Almirante no. Quanto all’antisemitismo, abbiamo strade e busti dedicati al Presidente del Tribunale della razza, Gaetano Azzariti, diventato dopo il 1943 collaboratore di Togliatti, o guru del giornalismo che avevano svolto il loro apprendistato al «Tevere» di Telesio Interlandi, un giornale fortemente antisemita. Ma di loro nulla si può dire.
La vera motivazione, in realtà, per la quale poche città hanno dedicato una via ad Almirante, mentre pullulano di nomi del comunismo internazionale (dittatori sanguinari compresi) e di quello nazionale, sta nella ragione per cui, a nostro avviso, Almirante la meriterebbe: essere stato il capo del Msi. E il merito sta proprio nell’aver offerto, lui e tanti altri reduci di Salò, a una quota non piccolissima di italiani per quasi mezzo secolo, la possibilità di svolgere attività politica in maniera legale e, dati i tempi, relativamente pacifica. Se non ci fosse stato l’Msi, essi avrebbero scelto forse altre strade, quella della lotta armata o della guerra civile.
E invece Almirante ha contribuito, sia pure contestandola, a creare la democrazia italiana. Quanto all’antisemitismo, certo sulla questione ebraica nel Msi non sono mancate posizioni ambigue, e anche un po’ pericolose. Ma uno dei grandi suoi meriti è stato di portare tutto il suo partito verso il sostegno a Israele, a partire dalla guerra dei Sei giorni nel 1967.
Ma siamo sicuri che tutti quelli che strepitano contro la via ad Almirante siano poi così strenui difensori dello stato ebraico? A giudicare dalle facce dei centri sociali e della estrema sinistra, siamo al contrario sicuri che siano piuttosto loro nemici. E quindi le loro proteste suonano ancora più ipocrite.
Marco Gervasoni, 23 gennaio 2020