A ventiquattro ore dall’attentato che ha colpito i militari italiani di stanza in Iraq è impossibile che si siano spenti le emozioni e lo sdegno e, fermo restando l’augurio ai feriti di pronta guarigione, se si vuole capire cosa sia realmente successo e chi c’è dietro a quella bomba, è assolutamente necessario lasciare le emozioni in un cassetto e ragionare con la mente e il sangue più freddi possibile.
Per fare ordine bisogna mettere in chiaro alcuni particolari, cosa che purtroppo negli articoli fin qui pubblicati, è stato fatto solo parzialmente o completamente sorvolato. Gli ufficiali e i sottufficiali del IX reggimento Col Moschin dell’Esercito e del Gruppo Operativo Incursori Comsubin della Marina Militare, fiore all’occhiello delle Forze Armate Italiane, sono universalmente conosciuti fra i migliori soldati al mondo. Possono operare nei più disparati scenari, nel deserto, nella giungla, in mare, in montagna fino al teatro di guerra urbana. Si tratta di soldati con addestramento e preparazioni uguale, se non superiore, a quella dello United Kingdom Special Air Service, dei Yamam israeliani e dei Delta Force americani. Detto questo è chiaro che non trattandosi di principianti allo sbaraglio, portare contro di loro un attentato come quello di ieri non è semplice, per cui qualcuno ha studiato i loro movimenti per giorni fino a che ha capito quale poteva essere il momento e il luogo per colpire.
Basta questo per capire che non sono stati due attentatori da strapazzo a piazzare la bomba, ma mani di terroristi professionisti. Come riportato dagli organi di stampa l’esplosione che ha investito i cinque militari italiani è stata causata da uno IED (Improvised Explosive Device), cioè una bomba realizzata sia con materiali non convenzionali sia con l’impiego di esplosivi convenzionali, riempita di bulloni chiodi e pezzi di vetro che servono per creare quante più ferite e danni possibili a chi si trova nel raggio d’azione dell’ordigno. Bomba che generalmente viene fatta brillare al passaggio dei veicoli di chi si vuole colpire.
In questo caso invece tutto è successo dopo che i militari italiani si erano separati da un gruppo di Peshmerga, i reparti speciali curdi, che erano stati impegnati nella ricerca di armamenti e rifugi in uso ai militanti dell’Isis, azione dove alcuni terroristi erano stati eliminati. Tutto era andato bene, tanto che i media del Kurdistan avevano già annunciato il successo ottenuto, bisogna dirlo, anche grazie alla presenza italiana. Secondo le informazioni arrivate in Italia al momento dell’attentato i soldati stavano rientrando a piedi alla base.
Come reporter di guerra che di IED ne ha visti di molti tipi e grandezze, esplosi e disinnescati, sono diverse le domande che mi faccio e alle quali mi piacerebbe avere delle risposte: come facevano i terroristi a sapere dove gli italiani sarebbero passati? L’ipotesi più valida, come scritto prima, è che i movimenti siano stati seguiti per diverso tempo e conferma la presenza di qualche professionista del terrore, ma non è tutto. Di che tipo era l’esplosivo? Gli artificieri che hanno setacciato il teatro dell’esplosione ne hanno sicuramente trovato tracce e sapere il tipo di sostanza usata è molto importante per capire chi ha operato dietro le quinte. Non si è parlato di schegge artificiali come bulloni o chiodi, c’erano? La loro eventuale assenza potrebbe anche essere un messaggio per chi vuole capire. Come è stata fatta brillare la bomba? Le IED usate lungo le strade scoppiano in molti modi al passaggio dei mezzi. Ad esempio interruttori a pressione o invisibili fili di naylon che vengono tirati a distanza o dall’automezzo stesso. In questo caso però i militari erano a piedi e non erano degli sprovveduti, si sarebbero sicuramente accorti di qualche trappola, è stato forse usato un radiocomando? E in caso affermativo, di che tipo?