La vera domanda che bisogna porsi oggi non è tanto per quale motivo papa Francesco abbia detto davanti ai vescovi italiani che in giro c’è “troppa frociaggine” e che non bisogna “mettere checche isteriche” in seminario. La vera domanda è: chi ha tradito Bergoglio? Quale vescovo ha spifferato maliziosamente le frasi del Sommo Pontefice prima a Dagospia e le ha poi confermate a Repubblica e al Corriere? Certo: in Vaticano pure i muri hanno le orecchie e il Papa dovrebbe saperlo. Ma -vada come vada- l’unico motivo per riportare certe espressioni usate in privato è uno solo: danneggiare il successore di Pietro.
Che Bergoglio non abbia l’eloquio forbito di Benedetto XVI era noto da tempo. E forse non può vantare neppure la stessa finezza intellettuale e teologica del predecessore. Di sicuro però gode di buona stampa, molto più caritatevole col Papa argentino che col “pastore tedesco” (ricordate?). Infatti prima di far scoppiare il bubbone sulle uscite “alla Sgarbi” di Francesco ci sono voluti un paio di giorni: Dago aveva scodellato lo scoop, ma gli altri gli sono andati dietro solo quando non hanno proprio potuto ignorare una notizia che avrebbe fatto il giro del mondo. Come poi è avvenuto. Il Pontefice delle benedizioni alle coppie gay, del “chi sono io per giudicare”, che mette nel mirino la “frociaggine” e le “checche” non è storia che capita tutti i giorni.
L’avesse detto Ratzinger, avesse parlato di “lobby gay” (come fatto nel 2013 dall’attuale papa), di “teoria gender nefasta” e “frociaggine” varia, si sarebbero registrate sommosse in tutto il mondo. Lo avrebbero crocifisso. Con Bergoglio, no. E infatti adesso – al netto delle inevitabili critiche, delle lettere di alcuni parroci, dell’irritazione da parte di quel mondo laico progressista che si era tanto innamorato di Jorge – i vaticanisti sono già all’opera per ricucire l’immagine dilaniata del Papa buono. È un peccato che Eugenio Scalfari non sia ancora tra noi, sarebbe stato curioso leggere uno dei suo infiniti articoli sull’amico in tonaca bianca.
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In prima battuta il Corsera aveva provato a giocare la carta della cattiva padronanza della lingua italiana che avrebbe tratto in errore Bergoglio. Ma poi la nota della sala stampa vaticana, con le stringate scuse, non ha giocato su questo aspetto, precisando solo che Sua Santità non intendeva offendere nessuno con quel termine “riferito da altri”. E così oggi si cambia strategia: monsignor Francesco Savino, 69 anni, vescovo di Cassano all’Jonio e vicepresidente della Cei, al Corriere ribadisce che “il Papa non è omofobo” (e ci mancherebbe), ma soprattutto che le sue parole sarebbero state “fraintese” (in che modo?) ed estrapolate dal contesto: “Francesco, da grande educatore, stava parlando della formazione dei candidati al sacerdozio – spiega il monsignore – Ed era preoccupato della felicità del futuro prete, che sia omosessuale o eterosessuale. Perché un sacerdote deve essere sereno con sé stesso, un uomo risolto e felice, capace di trasmettere gioia. E la felicità passa anche attraverso un rapporto armonico con la propria sessualità”. Come questo si sposi col termine “froci” è tutto da capire.
Il vero quesito, tuttavia, non è cosa e perché l’abbia detto. Ma chi lo abbia riferito all’esterno provocando un danno di immagine enorme. “Chiunque sia stato – è l’anatema di Savino – dovrà fare i conti con la sua coscienza e con il senso di collegialità con gli altri vescovi”. Secondo Luciano Tirinnanzi, la rivelazione di un colloquio più o meno privato potrebbe essere l’ennesimo round di uno scontro che vede contrapposti conservatori e progressisti anche in vista del prossimo Conclave. Già, ma di chi stiamo parlando?
Giuseppe De Lorenzo, 29 maggio 2024
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