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Il punto sulla crisi

Chi ha “ucciso” davvero Draghi

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E se a mandare a morte Mario Draghi non fossero stati i Cinque Stelle di Giuseppe Conte, con le loro acrobazie e i loro ultimatum da operetta, ma colui che passa oggi per il più “fedele” fra i ministri del governo ancora in carica, cioè quello degli Esteri? Che il nostro sistema politico e il governo che ne era espressione si reggessero su un molto precario equilibrio era evidente, ma a menti esperte lo era ancor più il fatto che sarebbe bastato che un singolo elemento venisse meno per generare un effetto a catena e far crollare tutto.

Era infatti come se in Draghi si fosse creata una sorta di camera di compensazione non solo delle divisioni profonde fra le forze politiche ma anche fra quelle interne ad ognuna di esse. I più prevedevano e speravano che questa reazione a catena avvenisse dopo le elezioni politiche, le quali avrebbero da parte loro contribuito a cambiare fisionomia e peso alle forze in campo. In pochi avevano invece ipotizzato che l’accelerazione e il disfacimento del sistema politico sarebbero avvenuti prima per una spaccatura interna ai Cinque Stelle e per di più messa in opera appunto da Luigi Di Maio. Che sessanta deputati abbandonino in poche ore il partito di maggioranza relativa e, fondando un altro gruppo, lo facciano diventare il secondo in Parlamento, non era elemento da ignorare o far passare sotto silenzio da un governo che non è tecnico, come si dice, ma politico a tutti gli effetti sin nella sua composizione. Anche perché con Di Maio sono andati via ministri e sottosegretari, e alcuni di peso.

In altri tempi, si sarebbe proceduto subito a un “rimpasto” o ad altre corbellerie del genere, che però permettevano ai vecchi governi di non gettare l’ancora. Qualche “complottista” dice addirittura che ad indirizzare Di Maio siano stati i suggerimenti di Draghi. Il che, ammesso o non concesso fosse vero, sarebbe a dir poco masochistico da parte di un presidente del Consiglio che avrebbe dovuto capire più degli altri che nella situazione data solo il quieta non movere avrebbe potuto tenerlo in sella. Più in particolare, la mossa di Di Maio ha fatto sì che le due principali anime dei Cinque Stelle, la “governista” e la “movimentista”, prima costrette a trovare un equilibrio interno prima di riversare le proprie fratture all’esterno e sul governo, ora si confrontino faccia a faccia con Draghi.

La radicalizzazione del Movimento storico è, da una parte, nella logica dei fatti (se io non credo più nei valori originari, e nemmeno nella regola dei due mandati, perché non dovrei andarmene con Di Maio?); e, dall’altra, è ciò che lo rende incompatibile con il governo. Intanto, mossa una pedina, altre sono cadute a strascico. Un insieme di azioni e controreazioni che porteranno forse inevitabilmente alle urne, non dando nemmeno la possibilità al partito di Conte di ridefinirsi come forza di opposizione sperando che gli italiani, almeno in parte, dimentichino in pochi mesi i quattro surreali anni di governo. Tutto sarà inutile per Conte e compagni. Nonostante i falsi ottimismi alla Marco Travaglio o alla Mimmo De Masi, che non poco influenzano in questo momento l’azione politica del già “avvocato del popolo”, il voto di protesta questa voltasi riverserà altrove, soprattutto nell’astensione. E forse ci libereremo di questa vera e propria metastasi generatasi negli ultimi anni nel cuore della politica italiana.

Corrado Ocone, 17 luglio 2022