Le primarie democratiche sono di fatto cominciate già da un bel po’ tra dibattiti televisivi, sondaggi e un numero iniziale di oltre 20 contendenti al trono di candidato del partito alla Presidenza degli Stati Uniti. Da lunedì, però, la più grande kermesse politica del pianeta entra nel vivo con i primi voti realmente espressi (e un pool di contendenti notevolmente ridotto). Nei prossimi mesi, i sostenitori e gli attivisti del partito democratico selezioneranno, votando Stato per Stato, il loro campione per la sfida del 4 novembre contro il Presidente incumbent Donald Trump. Guardiamo brevemente chi sono i principali candidati alla nomination e le tappe di questo processo.
Lunedì 3 febbraio si vota nello Iowa, l’11 febbraio nel New Hampshire, il 22 febbraio in Nevada, il 29 in Sud Carolina e il 3 marzo sarà il cosiddetto super Martedì. Si voterà in 15 stati tra cui California e Texas. A questo punto ci sarà probabilmente un chiaro frontrunner e uno o forse due sfidanti. Una premessa: seguendo queste primarie prendete in considerazione una certa isteria dei media. Vedrete che ci saranno sorprese, colpi di scena, rimonte… a volte molto effimere ma a cui i media daranno sempre un rilievo eccessivo. È la naturale tendenza dei media che dopotutto vi vogliono raccontare una bella storia… e una competizione dove il favorito rimane favorito dall’inizio alla fine, non è una bella storia. Andiamo a scoprire chi è questo favorito.
Joe Biden. In testa da mesi nei sondaggi, tra lo sconcerto di non pochi, finora c’è rimasto sempre lui, il vice presidente di Obama. Punti di forza: molti elettori democratici lo considera il candidato più eleggibile, cioè quello che ha migliori possibilità a novembre di battere Trump ( impressione, tra l’altro confermata dai sondaggi). È considerato un candidato popolare tra la la working class ed è nato in Pennsylvania. Potrebbe quindi recuperare ai democratici gli Stati chiave che dopo aver votato Obama sono passati a Trump nel 2016 (Wisconsin, Michigan e appunto Pennsylvania). È considerato un moderato ed è di gran lunga il candidato più popolare tra i neri. Gli afroamericani sono solo il 12% della popolazione americana, ma votano all’80% e oltre democratico, e quindi sono una fetta molto importante dell’elettorato Dem. Perché i neri sostengono Biden? Intanto c’è il suo passato come vice presidente di Obama e poi (forse questo sorprenderà qualcuno) gli afroamericani sono in generale più moderati dei bianchi che votano democratico.
Veniamo alle debolezze che non sono poche. È un moderato ed ha 77 anni. L’anima radical-progressista del partito non si rassegna a schierarsi dietro l’ennesimo maschio vecchio bianco. Tutto il mondo dei politologi, esperti, commentatori (il mondo della politica fatto su Twitter) lo considera out of touch rispetto alla direzione del partito. Non è considerato bravo in campagna elettorale. È un loser ripescato che ha già fallito già due volte la nomination alla presidenza (nel 1998 e nel 2008).
È un noto gaffeur ed è stato richiamato per il suo modo inappropriato di toccare le donne. A volte è apparso effettivamente senile, stanco e non in grado di articolare discorsi sensati.
Trump non è certo un giovincello ma molti democratici temono che nei confronti diretti il presidente apparirebbe molto più energico rispetto ad uno sfidante assopito e imbambolato. E poi c’è anche il figlio Hunter e l’affaire ucraino che, messo da parte l’impeachment, potrebbe ora ritorcersi disastrosamente sulla carriera politica del padre. Per tutte queste ragioni anche l’establishment del partito è stato molto cauto nello schierarsi apertamente dietro Biden.
Bernie Sanders. Questo vecchio socialista ha fatto breccia nei cuori dei millennials che lo vedono come il rivoluzionario che li condurrà sulla strada promessa della cancellazione del debito universitario. Dalla sua, grande capacità comunicativa e molta coerenza. Promette di trasformare gli Stati Uniti in un paese scandinavo con tanti pasti gratis per tutti (dalla sanità alle università free for all). Ha una base devota ed entusiasta al punto da rasentare il fanatismo (ed capace di diventare estremamente tossica online). A noi, si sarà capito, Sanders non piace. Ma ci avevano detto che avesse un ceiling, un tetto nei consensi. Ce lo avevano descritto come una stella del passato. Invece, a quanto pare dagli ultimi sondaggi, sembra essere riuscito a riconquistare saldamente il ruolo di principale sfidante di Biden, come nel 2016 con la Clinton. Un risultato su cui, mesi fa, ben pochi avrebbero scommesso.
Elizabeth Warren. Sembrava la candidata destinata a succedere a Sander nella guida del fronte progressista. Invece, negli ultimi mesi, qualcosa si è inceppato. Alla fine il ceiling nei consensi ce lo aveva lei: non è riuscita ad allargare il suo consenso oltre il gruppo demografico dei bianchi con alto livello di istruzione. Nell’ultimo dibattito si è giocata il tutto per tutto rompendo la tregua con Sanders e accusandolo di sessismo. Una mossa forse inevitabile ma non felice: un candidato alla presidenza che si atteggia a vittima segnala solo di aver già perso. Una cattiva performance in Iowa e New Hampshire potrebbe sancire il suo destino.
Pete Buttigieg. Il sindaco gay di South Bend, cittadina di 100 mila abitanti dell’Indiana. Candidato interessante: è un veterano decorato con un turno di servizio in Afghanistan. Bianco, religioso, moderato e patriottico, sarebbe criptonite per la sinistra americana, se non fosse protetto dalla sua appartenenza LGBT. Difetti: Affidereste la nazione ad un sindaco di una città di secondaria importanza perfino per l’Indiana? Inoltre non riesce a sfondare tra le minorities (forse più omofobe dei bianchi, ma è tabù dirlo). Vedremo un fist man (suo marito) alla Casa Bianca? Anche per lui, Se vuole aspirare alla nomination, un buon risultato in Iowa e New Hampshire è fondamentale.
Yang, Klobuchar, Bloomberg. Tre candidati minori molto diversi. Andrew Yang: tecnocrate di origine asiatica (uno dei pochi ad avere sempre tenuto un atteggiamento di dialogo verso la metà del paese che vota Repubblicano). Amy Klobuchar, donna e senatrice molto amata del Minnesota, Michael Bloomberg, miliardario newyorkese che sta spendendo cifre stratosferiche in pubblicità elettorali. Tutti e tre però fanno parte, insieme a Buttigieg, dell’ala moderata del partito. Le loro possibilità appaiono ad oggi estremamente modeste, ma un passo falso o una gaffe di Biden (uno scenario tutt’altro che improbabile) potrebbe rimettere uno di loro in carreggiata per la vittoria.
Cosa succederà? Le prime quattro primarie saranno fondamentali. I sondaggi sullo Iowa danno risultati discordanti, a volta dando vittorioso Biden, altre Sanders. Il New Hampshire dovrebbe andare facilmente a Sanders (senatore del vicino Vermont). Il Nevada è un incognita. Il Sud Carolina, ad alta popolazione afroamericana, dovrebbe essere saldamente di Biden. Queste le previsioni. Tutto dipenderà dalle percentuali esatte che prenderà ciascun candidato.
Se Biden dovesse battere i pronostici e vincere di buona misura in Iowa e Nevada i giochi sarebbero quasi fatti. I moderati si coalizzeranno intorno a lui e Sander rimarrebbe solo per fare la sua battaglia di bandiera. Al contrario un suo risultato deludente, porterebbe alla notte dei lunghi coltelli tra i candidati moderati. E anche possibile che i moderati non riescano a coalizzarsi in tempo intorno ad un unico campione, facendo andare a metà l’outsider più estremista, Sanders. Un po’ come successo tra i repubblicani con Trump nel 2016.
Infine c’è anche un’altra possibilità. Che alla convention democratica, prevista tra il 13 e il 16 luglio, nessuno dei candidati si presenti con la maggioranza dei voti. In questo caso si avrebbe la cosiddetta broken convention. Il candidato verrebbe scelto nel corso della convenzione stessa, con un grande compromesso tra le fazioni. Stay Tuned… ne vedremo delle belle.
Stefano Varanelli, 2 febbraio 2020