Chi sono i ministri che fanno infuriare Draghi

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Prima si fa e poi si comunica, diceva Mario Draghi. Ora, invece, si comunica senza fare: signori, il cambio di passo del Governo è servito. Ministri a ruota libera, senza concludere per ora nulla di concreto: per questo il presidente del Consiglio è irritato ma loro, incuranti dei richiami del premier, continuano con annunci scollati dalla realtà.

In prima fila il ministro del Lavoro Andrea Orlando, che con slogan alla “monsieur Lapalisse” assicura ristori a tutti, pur sapendo che non ci sono, e rischia di ritrovarsi, a breve, ministro della Disoccupazione. Avrà più tempo per continuare a mettere zizzania tra le donne del Pd. E poi Daniele Franco, irredimibile funzionario di Bankitalia più che ministro, che scrive di giorno e disfa di notte il suo Recovery Plan, del quale ancora nessuno né nel Governo (il ministro Patuanelli lo dice senza peli sulla lingua) né in Parlamento conosce i contenuti. Tanto che sul tema, il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini, eterna riserva della Repubblica e ‘spia’ del Quirinale di Zampetti dentro l’esecutivo, ha candidamente ammesso di non essere stato in alcun modo coinvolto, se non per la creazione di una consulta per l’attuazione. Eppure, il suo ministero sarebbe fondamentale nel definire l’utilizzo delle risorse europee, essendo queste destinate soprattutto agli investimenti infrastrutturali e ai trasporti, anche in chiave “green”.

E pure su quest’ultimo tema è in corso uno scontro tra titani: Roberto Cingolani, responsabile della transizione ecologica che fu centrale nei giorni di formazione dell’attuale Governo, preferisce occuparsi di superbonus agli alberghi, invadendo così il campo lasciato scoperto dal ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, già più volte redarguito da Draghi in pubblico. L’assegnazione di un portafoglio al suo ministero, che in precedenza era solo un dipartimento, serviva a fare programmi operativi e non chiacchiere. Invece nulla. Ancora gli albergatori non sanno nemmeno se a maggio potranno riaprire, come ripete l’ottimo presidente della categoria Bernabò Bocca. Rimbrotti che si gusta in silenzio Dario Franceschini, che ha dovuto rinunciare alla delega al turismo, ma adesso pensa di usarla come chiave d’ingresso per il Quirinale. Un guazzabuglio che quasi fa rimpiangere la vecchia regia machiavellica – si parva licet – di “Roccobello” Casalino, tanto che si pensa di far arrivare presto a Palazzo Chigi un social media manager.

E ancora, di tutta l’opera di digitalizzazione e sburocratizzazione necessaria affinché i 200 miliardi di fondi europei arrivino realmente all’Italia, di cui dovrebbe occuparsi il supermanager Vittorio Colao, dalla task force di Conte ora promosso a ministro, il solo ambito in cui si è sinora intervenuti è quello dei concorsi pubblici: 125mila nuove assunzioni che diventeranno 500mila nei prossimi 5 anni. Così il Governo dei Migliori fa passare il messaggio che la Pubblica Amministrazione in Italia è ancora prima di tutto un ammortizzatore sociale. E a poco servono le giustificazioni che si tratta di posti già banditi o che lo si fa per utilizzare le vecchie risorse europee, altrimenti perse. La potenza del messaggio resta quella di un Paese arretrato e di uno Stato che, con la scusa del “turn over” (esce un fine carriera-entrano due giovani), valuta un laureato con dottorato la metà, in termini di stipendio, rispetto a chi ha avuto aumenti negli anni per meri scatti di anzianità e non per merito.

Ci sono, infine, i non-ministri: sui vaccini, il generale Figliuolo è stato scelto perché esperto di logistica, scienza che affonda le radici nel settore militare. Il ruolo del logista, istituito per gli eserciti da Caio Giulio Cesare, è quello di responsabile degli approvvigionamenti. Nel caso di Figliuolo, trattasi di vaccini. Ma le tecniche si sono nel tempo evolute e oggi occorre un’organizzazione a diversi livelli, dalla pianificazione dei flussi di importazione dei sieri tra i vari produttori, gestendo anche la negoziazione in Europa, fino alla logistica di ultimo miglio per garantire che tutti i centri siano raggiunti. Per questo servirebbe una linea di controllo intermedia che invece è saltata, per cui si preferisce usare il machete anziché scegliere di volta in volta chi inoculare.

È giusto, per esempio, vaccinare subito tutti i poliziotti e carabinieri o solo quelli operativi in strada? Tutti i professori o solo chi fa lezione in aula? Tutti i magistrati o solo chi va in tribunale? Forse dovrebbero essere i dirigenti delle varie strutture a decidere chi dei loro vaccinare e chi no, perché sono gli unici che conoscono le esigenze delle proprie rispettive categorie. Così come è mancata l’assistenza medica sul territorio, considerato che, per i più svariati motivi, i medici di famiglia, salvo eccezioni, non si sono granché mobilitati.

Sono questi i nodi più urgenti da sciogliere per Draghi. Ma, come spesso accade quando si varca la soglia di Palazzo Chigi, vista Quirinale, forse appassionano di più le prove di leadership politica, magari misurandosi con Matteo Salvini, Pierluigi Bersani e il frastornato Enrico Letta piuttosto che governare il Paese. E, a sorpresa, iniziano ad appassionare anche le conferenze stampa dalle quali dovrebbe ben guardarsi o, almeno, rispondere ad una domanda per volta per non perdere il filo. Purtroppo per lui, non c’è tempo per imparare, ma l’Italia ha grande fiducia in Draghi.

Luigi Bisignani, Il Tempo 11 aprile 2021

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